GIUDIZIO --> IMPUGNAZIONE --> TITOLO EDILIZIO --> DIA/SCIA
Sintesi: La comunicazione dell’avvio del procedimento di verifica della DIA, anche ove rechi rilievi sulla insufficienza o inidoneità della stessa a legittimare l’intervento, conserva la propria natura di mera comunicazione o, in sostanza, di preavviso dei motivi per i quali il procedimento è stato avviato e che potranno condurre al formale provvedimento repressivo terminale: è solo l’emissione di quest’ultimo, privando la DIA della sua efficacia, che assume valenza effettivamente lesiva dello “ius aedificandi” relativamente a quel determinato intervento che la dichiarazione mirava a legittimare.
Estratto: «1.- Per quanto riguarda la prima questione, l’appello in esame argomenta l’erroneità della sentenza per aver affermato la non lesività della comunicazione dell’avvio del procedimento di verifica della DIA; la società istante evidenzia a supporto che la predetta comunicazione (25.3.2002) affermava come la DIA non fosse idonea alla realizzazione delle opere, sicché, secondo la tesi in esame, la valenza lesiva dell’atto comportava la necessità da parte del TAR di esaminare le censure proposte, non potendo le stesse essere dichiarate inammissibili. L’opinione non può essere condivisa. Ritiene il Collegio che la comunicazione dell’avvio del procedimento di verifica della DIA, anche ove rechi rilievi sulla insufficienza o inidoneità della stessa a legittimare l’intervento, conservi la propria natura di mera comunicazione o, in sostanza, di preavviso dei motivi per i quali il procedimento è stato avviato e che potranno condurre al formale provvedimento repressivo terminale; ma resta il fatto, correttamente osservato dal Tribunale, che solo l’emissione di quest’ultimo, privando la DIA della sua efficacia, assume valenza effettivamente lesiva dello “ius aedificandi” relativamente a quel determinato intervento che la dichiarazione mirava a legittimare. Correttamente pertanto il Tribunale ha dichiarato inammissibile l’atto introduttivo del giudizio.»
Sintesi: Il terzo pregiudicato dallo svolgimento dell’attività denunziata è titolare di una posizione qualificabile come interesse pretensivo all’esercizio del potere di verifica previsto dalla legge.
Estratto: «5. Così delimitata la portata delle questioni sulle quali l’Adunanza Plenaria è chiamata a pronunciarsi, si deve muovere dall’analisi della problematica preliminare della natura giuridica dell’istituto della dichiarazione di inizio attività (d’ora in poi d.i.a.).
[...omissis...]
Sintesi: L'incertezza della giurisprudenza in merito alla natura giuridica della d.i.a. ed ai conseguenti mezzi di tutela per il terzo che si reputa leso dalla medesima non può riverberarsi negativamente nei confronti dei cittadini che si reputino lesi dall’attività edilizia intrapresa in seguito a d.i.a. e questo soprattutto laddove questa sia quasi totalmente alternativa al permesso di costruire: non può essere considerato, dunque, inammissibile il ricorso con cui il terzo proponga impugnazione diretta contro la d.i.a. o contro il titolo che si sarebbe formato a fronte della presentazione della medesima.
Estratto: «1. In via preliminare, deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dal Comune nella sua prima memoria del 26.3.2007 e ribadita nella successiva del 27.12.2010, in aderenza alla tesi secondo cui la DIA, quale atto soggettivamente ed oggettivamente privato, non consente al terzo l’impugnazione diretta (così testualmente a pag. 2 della memoria dell’Amministrazione resistente del 27.12.2010).L’eccezione deve respingersi, in quanto la complessa questione in merito alla natura giuridica della DIA ed ai conseguenti mezzi di tutela per il terzo che si reputa leso dalla medesima, é ben lungi dall’essere definita, tanto è vero che risulta ad oggi all’esame dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato – per effetto dell’ordinanza di remissione della IV Sezione n. 14 del 5.1.2011 – sicché, al di là dell’orientamento assunto sul punto dalla scrivente Sezione, deve escludersi la declaratoria di inammissibilità nei casi in cui, come quello di specie, il terzo ha proposto impugnazione diretta contro la DIA o, meglio, contro il titolo che si sarebbe formato a fronte della presentazione della medesima.Infatti, l’attuale situazione di incertezza della giurisprudenza, testimoniata dalla rimessione della questione al massimo organo della giustizia amministrativa, non può riverberarsi negativamente nei confronti dei cittadini che si reputino lesi dall’attività edilizia intrapresa in seguito a DIA e questo soprattutto laddove, come nella Regione Lombardia, la DIA è quasi totalmente alternativa al permesso di costruire (cfr. art. 41, comma 1°, della legge regionale 12/2005).»
Sintesi: È inammissibile il ricorso proposto per l’annullamento della denuncia di inizio attività, intesa come atto avente natura oggettivamente e soggettivamente privata.
Sintesi: Le tesi che si contendono il campo riguardo ai rimedi giurisdizionali a favore del terzo dinanzi al G.A. avverso la d.i.a. sono almeno tre: 1) la tesi provvedimentale, dell'impugnativa tesa all’annullamento giurisdizionale del titolo abilitativo implicito, con termine decorrente dal completamento della fattispecie o dalla sua conoscenza e che si esplica a mezzo di una pronuncia di tipo demolitorio-annullatorio; 2) la tesi che privilegia la consistenza di atto del privato, che fa riferimento ad un'azione di accertamento autonomo (negativo) dell'inesistenza dei presupposti per ritenere completata la fattispecie, con effetti che trovano nel momento conformativo il potere e il dovere (da parte dell’amministrazione) di rimuovere gli effetti eventualmente verificatisi; 3) la tesi che, pur partendo dalla natura privata dell’atto, imporrebbe al terzo, che intenda opporsi all’intervento assentito, una volta decorsi i termini senza l’esercizio del potere inibitorio, di presentare istanza formale e eventualmente impugnare il successivo atto negativo dell’amministrazione o di agire avverso la successiva inerzia amministrativa (silenzio-rifiuto).
Estratto: «2.La Sezione rileva che la problematica giuridica sottoposta al suo esame ha dato luogo ad un artocolato orientamento della giurisprudenza, che incide sulla natura sostanziale dell’istituto e sui riflessi processuali conseguenti alle varie ipotesi ricostruttive.Quanto ai diversi orientamenti giurisprudenziali, il Collegio rileva preliminarmente che la tesi secondo cui è inammissibile il ricorso proposto per l’annullamento della denuncia di inizio attività, intesa come atto avente natura oggettivamente e soggettivamente privata, ha avuto il conforto in sede giurisprudenziale anche di questa Sezione (ex plurimis, da ultimo, Cons. Stato, IV, 13 maggio 2010, n.2919; si veda in tal senso anche Cons. Stato, V, 22 febbraio 2007, n.948).Tale inammissibilità della impugnativa troverebbe comunque un rimedio nell’azione avverso il silenzio-inadempimento; il terzo che intende opporsi all’intervento, una volta decorso il termine per l’esercizio del potere inibitorio, sarebbe legittimato unicamente a presentare all’amministrazione formale istanza per la adozione dei provvedimenti sanzionatori previsti e ad impugnare l’eventuale silenzio-rifiuto su di essa formatosi, oppure a impugnare il provvedimento emanato all’esito della avvenuta verifica.Questa Sezione, però, sempre recentemente, ha sostenuto la opposta tesi (per così dire provvedimentale) che i terzi che ritengano di essere pregiudicati dalla effettuazione di una attività edilizia assentita in modo implicito (nella specie, DIA) possono agire dinanzi al giudice amministrativo per chiedere l’annullamento del titolo abilitativo formatosi per il decorso del termine fissato dalla legge entro cui l’amministrazione può impedire gli effetti della D.I.A. (Cons. Stato; IV, 13 gennaio 2010 n.72).In altra recente sentenza (4 maggio 2010, n.2558) poi, la stessa IV Sezione, senza prendere specifica posizione sulla natura giuridica dell’istituto ma solo ai fini della risoluzione del problema della tempestività della impugnativa avverso una denuncia di inizio di attività, ha sostenuto che - sia che si aderisca alla tesi privatistica sia che si aderisca a quella del titolo abilitativo implicito - in ogni caso l’azione costituente il rimedio del terzo pregiudicato deve attenersi al termine decadenziale di sessanta giorni ex art. 21 legge 6 dicembre 1971, n.1034, rilevando altresì che la struttura tradizionalmente impugnatoria del giudizio amministrativo può riguardare anche fattispecie a formazione provvedimentale implicita, come la DIA in materia edilizia.Di recente, poi,la VI Sezione del Consiglio di Stato (sentenza 9 febbraio 2009 n.717) ha concluso per la tesi dell’atto privato, nei confronti del quale il terzo potrebbe agire dinanzi al giudice amministrativo per l’accertamento della inesistenza dei presupposti stabiliti dall’ordinamento.3. Le diverse tesi sulla natura dell’istituto – della DIA quale provvedimento amministrativo tacito e della DIA quale atto privato sottoposto a controllo dell’amministrazione – possono portare a conclusioni diametralmente opposte sul punto dei rimedi esperibili da parte del terzo nel senso che la qualificazione giuridica dell’istituto sostanziale condiziona l’accesso alle tecniche di tutela della posizione del terzo pregiudicato.Sul piano strettamente normativo va ricordato che la DIA è stata introdotta in via generale dall’art. 19 della L.n.241 del 1990 (tale articolo in realtà oggi disciplina la segnalazione certificata di inizio attività detta s.c.i.a.,mentre l’art. 20 prevede le ipotesi di silenzio-assenso) e, con riferimento alla materia edilizia, dagli artt. 22 e 23 del D.P.R. 380/2001.La tesi provvedimentale della dia edilizia è stata argomentata anche sulla scorta dei dati testuali presenti nel testo unico edilizio, in considerazione : 1) dell’art. 23 comma 5 che fa riferimento al titolo; 2) del comma 6 dell’art. 23, che correla al decorso del termine la sussistenza del titolo abilitativo); 3) della estensione ex artt. 38 e 39 della disciplina degli interventi eseguiti in base in base a permesso annullato anche agli interventi realizzati con d.i.a. ; 4) dell’art. 22 co.3 secondo cui la denuncia è in alternativa al permesso di costruire; 5) del TITOLO II del testo unico, dedicato ai “Titoli abilitativi”, tra i quali sono ricompresi sia la denunzia di inizio di attività che il permesso di costruire.In effetti, in teoria generale, il titolo è l’atto o fatto giustificativo dell’acquisto di un diritto o di una posizione soggettiva e il provvedimento è nella dottrina tradizionale l’atto che costituisce, modifica o estingue (art. 1321 codice civile sul contratto) una posizione giuridica amministrativa.Come anticipato, anche questo Consesso, (tra le tante, sezione VI, 5 aprile 2007, n.1550 e da ultimo 10 dicembre 2009, n.7730, 4 maggio n.2558 e 24 maggio 2010, n.3263 del 2010) ha affermato che la d.i.a. non è uno strumento di liberalizzazione e privatizzazione della attività (questa invero è la sua ratio, ma non necessariamente la sua natura), ma rappresenta una semplificazione procedimentale che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo (sub specie della autorizzazione implicita di natura provvedimentale), a seguito del decorso del termine (30 giorni) dalla presentazione della denunzia, ed è impugnabile dal terzo nell’ordinario termine di decadenza di 60 giorni, decorrenti dalla comunicazione al terzo del suo perfezionamento, ovvero, dalla conoscenza del consenso (implicito) all’intervento oggetto della stessa.Nel senso che i terzi che si assumano lesi dal silenzio serbato dall’amministrazione a fronte della presentazione della d.i.a. sono legittimati a gravarsi non avverso il silenzio stesso, ma, nelle forme dell’ordinario giudizio di impugnazione, avverso il titolo che, formatosi e consolidatosi per effetto del decorso del termine, si configura in definitiva come fattispecie provvedimentale a formazione implicita, si sono espresse molte decisioni (senza pretesa di esaustività, Consiglio Stato, IV; 25 novembre 2008, n.5811; 29 luglio 2008, n.3742; 12 settembre 2007, n.4828; sezione VI, 5 aprile 2007, n.1550).4.La tesi provvedimentale, però, è stata messa in dubbio da altra giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. VI, 9 febbraio 2009, n.717) con la argomentazione secondo cui escogitare un provvedimento implicito che non esiste (a differenza del silenzio-assenso) non risulta di per sé idoneo ad assicurare un più elevato livello di tutela al terzo che si voglia opporre all’intervento; anzi, tale tesi lo esporrebbe alle incertezze interpretative sull’esatto momento in cui egli consegue la piena conoscenza dell’atto lesivo e a partire dal quale decorre il termine per l’eventuale impugnativa.Secondo tale costruzione, la DIA è atto di parte o atto del privato e ad essa non si applicano le regole tipiche del procedimento amministrativo.In particolare la suddetta pronuncia della VI Sezione , pur condividendo la preoccupazione di assicurare al terzo la effettività della tutela giurisdizionale, ha osservato tuttavia che tale remora non può portare a stravolgere la natura dell’istituto, trasformando quella che è una dichiarazione del privato in un atto dell’amministrazione o in una fattispecie ibrida (quasi un animale a due teste) che nascerebbe privata e diventerebbe pubblica per effetto del decorso del tempo trascorso e del silenzio). In realtà, dal punto di vista sostanziale, l’azione di controllo amministrativo sulla DIA si risolve in una funzione di “riscontro”, che consiste nell’accertamento, anche dopo la scadenza del termine assegnato per il controllo inibitorio, della insussistenza delle condizioni legittimanti la intrapresa della attività.Dal punto di vista processuale, poi, questa impostazione rimette la effettività della tutela del terzo a rimedi diversi dalla tradizionale azione di annullamento; lo strumento idoneo – oltre al ben noto rimedio avverso l’inerzia - consisterebbe nella azione di accertamento autonomo che il terzo può esperire dinanzi al giudice amministrativo per sentire pronunciare che non sussistevano i presupposti per svolgere l’attività sulla base di una semplice denuncia di inizio di attività.Emanata la sentenza di accertamento, graverà sulla amministrazione l’obbligo di ordinare la rimozione degli effetti sulla base dei presupposti che il giudice ha ritenuto mancanti; né la mancanza di una norma espressa sulla attribuzione al giudice amministrativo di una cognizione di tipo dichiarativo (azione di accertamento) è preclusiva, in quanto essa costituisce la caratteristica principale e minima dello ius dicere.5. In sintesi la Sezione rileva che almeno tre sono le tesi che si pongono in campo riguardo ai rimedi giurisdizionali a favore del terzo dinanzi al G.A. avverso la denuncia (o dichiarazione) di inizio attività: 1) la prima è la tesi provvedimentale, della impugnativa tesa all’annullamento giurisdizionale del titolo abilitativo implicito, assimilando tale fattispecie all’atto espresso, quale il permesso di costruire, o il silenzio-assenso, con termine decorrente dal completamento della fattispecie o dalla sua conoscenza e che si esplica a mezzo di una pronuncia di tipo demolitorio- annullatorio sul modello dell’art. 29 CPA; 2) la seconda, che privilegia la consistenza di atto del privato, fa riferimento ad una azione di accertamento autonomo (negativo) della inesistenza dei presupposti per ritenere completata la fattispecie, con effetti che trovano nel momento conformativo il potere e il dovere (da parte dell’amministrazione) di rimuovere gli effetti eventualmente verificatisi; 3) la terza tesi, invece, che pure parte dalla natura privata dell’atto, imporrebbe al terzo, che intenda opporsi all’intervento assentito, una volta decorsi i termini senza l’esercizio del potere inibitorio, di presentare istanza formale e eventualmente impugnare il successivo atto negativo dell’amministrazione o di agire avverso la successiva inerzia amministrativa (silenzio-rifiuto), sul modello del rimedio previsto attualmente dall’art. 31 CPA.6. La problematica sopra delineata, ad avviso della Sezione, coinvolge quindi i seguenti profili: A) la qualificazione giuridica sostanziale dell’istituto e quindi natura privata oppure provvedimentale della fattispecie realizzata a mezzo della denuncia di inizio di attività, tenendo presente che il testo unico dell’edilizia la ricomprende tra i titoli abilitativi, anche se atto del denunciante privato; B) risolta la qualificazione di natura sostanziale, involgente sia i poteri di inibizione che di autotutela successiva (autotutela fatta salva anche nell’istituto recente della s.c.i.a.), conseguente è il problema delle tecniche di tutela, dei risvolti processuali e dei rimedi giurisdizionali ai quali può ricorrere il terzo; quale che sia il rimedio esperibile, in ogni caso, però, per esigenze di certezza dei rapporti, deve sgomberarsi il campo dai dubbi sulla applicabilità alla fattispecie del termine decadenziale (piuttosto che prescrizionale), individuando il momento dal quale tale termine debba essere fatto decorrere (conoscenza del completamento della fattispecie), sia che si abbracci la tesi della impugnativa demolitoria che quella dell’accertamento autonomo; C) sulla base della soluzione adottata nella ricostruzione sostanziale dell’istituto, il rimedio giurisdizionale effettivo, comprende anche la eventuale ammissibilità, in tale fattispecie ma anche più in generale, della azione di accertamento da parte del terzo dinanzi a fattispecie che modificano i confini tra pubblico e privato e che esigono, a fini di liberalizzazione e semplificazione, un intervento solo eventuale e successivo dell’amministrazione pubblica nel rapporto tra autorità e libertà.Da ultimo, non può non tenersi in considerazione la ulteriore evoluzione dell’ordinamento che, nel rapporto permanente tra autorità e libertà, sposta la soglia verso la seconda e prevede una accelerazione degli strumenti di liberalizzazione, consentendo immediatamente la attività (la c.d. s.c.i.a.) a seguito della presentazione della segnalazione certificata di inizio attività (art. 19 comma 2 su citato, a seguito delle modifiche apportate dal D.L. 78 del 31 maggio 2010 come convertito dalla legge di conversione n.122 del 30 luglio 2010); tale fattispecie ultima, ispirata ad una maggiore celerità nell’avvio della attività che si intende svolgere e concedendo un minore spazio alla pubblica amministrazione, è stata generalizzata dal comma 1 dell’art. 19 (che prevede che ogni atto, permesso, licenza, autorizzazione è sostituito dalla s.c.i.a.).La s.c.i.a., di cui non è ancora chiara allo stato la ampiezza di applicazione in materia edilizia, enfatizza (in nome di una ulteriore liberalizzazione e semplificazione) ancora di più la natura privatistica dell’atto, ma per converso non può smentire la permanenza della potestà pubblica, che è naturalmente fatta salva in via di autotutela e di divieto di prosecuzione della attività. 7.L’art. 99 cpa prevede che la Sezione cui è assegnato il ricorso, se rileva che il punto di diritto – nella specie, rimedi e tutela del terzo avverso la DIA - sottoposto al suo esame ha dato luogo o possa dare luogo a contrasti giurisprudenziali, con ordinanza emanata su richiesta delle parti o di ufficio può rimettere il ricorso all’esame dell’adunanza plenaria.Il Collegio fa presente che le altre questioni attengono: -alla violazione o meno del dovere di non aggravare oltremodo il peso della servitù passiva del fondo servente di proprietà Dovesi, a mezzo dell’assentimento del passaggio carrabile (prima solo pedonale) sulla vicina servitù passiva a carico di Serma; -alla assentibilità o meno dell’intervento in relazione al limite del rispetto della larghezza di almeno tre metri e mezzo del passaggio carrabile, limite previsto da precedenti determinazioni comunali e invocato dall’appellato Dovesi.All’esame nel merito della presente controversia qui esposta si potrà addivenire solo se l’Adunanza plenaria fornirà soluzione alle questioni prospettate e alla stregua della impostazione seguita potranno essere valutati i motivi di appello, volti a sostenere la inammissibilità della impugnativa diretta nei confronti della denuncia di inizio di attività, come proposta invece in primo grado dall’appellato. Pertanto, la Sezione, consapevole della delicatezza delle questioni e del loro evidente carattere di massima, ritiene opportuno deferirne l’esame all’Adunanza plenaria, ai sensi dell’art. 99 CPA, allo scopo di assicurare univoci orientamenti giurisprudenziali in materia di tutela del terzo avverso la denuncia di inizio di attività e si rimette alle sue determinazioni in ordine alla trattazione dell’intera causa o delle sole questioni di massima, con la eventuale restituzione degli atti alla Sezione per le ulteriori determinazioni, ai sensi del quarto comma del menzionato art. 99.»
Sintesi: È ammissibile il ricorso cumulativo con cui contemporaneamente vengono introdotte l'azione di annullamento del silenzio formatosi sulla d.i.a. e l'azione avverso il mancato esercizio dei poteri di autotutela sulla stessa sollecitati dall'interessato.
Estratto: «7. Ritiene preliminarmente il Collegio che sia fondata la censura dell’appellante, secondo cui il TAR ha dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado, violando i principi sulla effettività della tutela giurisdizionale.7.1- Premesso il principio per il quale il divieto di ricorso cumulativo è finalizzato ad evitare confusione tra controversie del tutto differenti...
[...omissis...]
Sintesi: Poiché attualmente il confine tra permesso di costruire e denuncia d'inizio attività è lasciato dal Legislatore alla libera scelta dell’interessato, sembra ragionevole ritenere che il terzo possa avvalersi di un’identica tutela avverso i due titoli edilizi.
Estratto: «Si osserva, al riguardo, che, con riferimento alla natura giuridica della D.I.A., e in particolare di quella inerente all'attività edilizia, sono stati formulati vari orientamenti in dottrina ed in giurisprudenza, che prendono in esame, tra l'altro, i due diversi rapporti intercorrenti tra denunciante ed Amministrazione, da una parte, e tra denunciante, Amministrazione e terzi dall'altra. La tesi che, quanto a quest’ultimo aspetto, il Collegio fa propria muove dalla constatazione che le controversie concernenti oggetto, procedura ed effetti della D.I.A. sono state devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, secondo il nuovo testo dell'art. 19 della legge 7.8.1990, n. 241, il che dimostra che, anche in sede di semplificazione della procedura finalizzata a dare inizio ad una novella attività edilizia, il Legislatore ha ricalcato la risalente previsione dell’art. 16 della legge 28.1.1977, n. 10. Il Tribunale ritiene che, nell’ipotesi che possa constatarsi che la D.I.A. non trovi alcuna norma urbanistica che l’autorizzi, è sempre possibile un intervento repressivo dell’illecito da parte dell’Amministrazione. Quanto all’azione proponibile avverso la D.I.A. da parte di terzi, che siano controinteressati all'intervento che si rende operativo dopo il prescritto termine di legge e che deducano che le opere progettate non siano conformi alla normativa urbanistica, la verifica affidata al Giudice amministrativo non può che concernere funditus i suoi presupposti in fatto ed in diritto. Il che postula, quindi, che l’azione promossa dal terzo introduca un giudizio di cognizione, nel quadro di un’attività amministrativa strettamente vincolata, volto ad ottenere l'accertamento dell'assunto illecito edilizio. Tali considerazioni appaiono avvalorate dalla circostanza che attualmente il confine tra permesso di costruire (o concessione edilizia) e denuncia d'inizio attività è stato lasciato dal Legislatore alla libera scelta dell’interessato, per cui sembra ragionevole ritenere che il terzo possa avvalersi di un’identica tutela.»
Sintesi: Per ciò che concerne la natura della denuncia di inizio attività, la stessa va equiparata al permesso di costruire quanto all'impugnazione: da ciò consegue che la relativa decisione riguarderà quella parte ammissibile dell'impugnazione, con cui si chiede di voler conseguire l'annullamento del titolo edilizio conseguito dalla controinteressata con il deposito della denuncia, trascorso il tempo di legge.
Estratto: «In quest’ottica si inserisce quindi l’opzione espressa da ultimo dal Tar Liguria e condensata nella seguente massima: “per ciò che concerne la natura della denuncia di inizio attività, la stessa va equiparata al permesso di costruire quanto all'impugnazione: da ciò consegue che la relativa decisione riguarderà quella parte ammissibile dell'impugnazione, con cui si chiede di voler conseguire l'annullamento del titolo edilizio conseguito dalla controinteressata con il deposito della denuncia, trascorso il tempo di legge (T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 6 giugno 2008 , n. 1228).Sulla scorta di tali considerazioni l’opinione espressa da larga parte della giurisprudenza di primo grado ha finito col fare breccia a livello di appello, in specie presso la sesta sezione del Consiglio di Stato la quale, non a caso, si è espressa in fattispecie caratterizzate dalla sussistenza del vincolo paesaggistico e dalla conseguente necessità dell’autorizzazione ex d.lgs. 42 del 2004; in proposito è stato quindi affermato che “la d.i.a. non è uno strumento di liberalizzazione dell'attività, ma rappresenta una semplificazione procedimentale che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo, sub specie dall'autorizzazione implicita di natura provvedimentale, a seguito del decorso di un termine (30 giorni) della presentazione della denunzia, ed è impugnabile dal terzo nell'ordinario termine di decadenza di 60 giorni, decorrenti dalla comunicazione al terzo del suo perfezionamento, ovvero, dalla conoscenza del consenso (implicito) all'intervento oggetto della stessa (Consiglio Stato , sez. VI, 05 aprile 2007 , n. 1550).Sulla scia di tale condivisibile orientamento risulta poi essersi posta anche altra giurisprudenza di appello, la quale ha circostanziato il relativo adeguamento precisando che nel caso di presentazione di dichiarazione di inizio di attività l'inutile decorso del termine di trenta giorni, assegnato dall'art. 23, t.u. 6 giugno 2001 n. 380 all'autorità comunale per l'adozione del provvedimento di inibizione ad effettuare il previsto intervento edificatorio, non comporta che l'attività del privato, ancorché del tutto difforme dal paradigma normativo, possa considerarsi lecitamente effettuata e quindi andare esente dalle sanzioni previste dall'ordinamento per il caso di sua mancata rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi, ben potendo il titolo abilitativo formatosi per effetto dell'inerzia dell'Amministrazione formare oggetto, alle condizioni previste in via generale dall'ordinamento, di interventi di annullamento d'ufficio o révoca da parte dell'Amministrazione stessa; segue da ciò che, anche dopo il decorso del termine di trenta giorni previsto per la verifica dei presupposti e requisiti di legge, l'Amministrazione non perde i propri poteri di autotutela, né nel senso di poteri di vigilanza e sanzionatorii, né nel senso di poteri espressione dell'esercizio di una attività di secondo grado estrinsecantesi nell'annullamento d'ufficio e nella révoca, ma con il limite, per l'ipotesi in cui la legittimità dell'opera edilizia dipenda da valutazioni discrezionali e di merito tecnico che possono mutare nel tempo, che detto potere, esercitabile con riferimento ad una d.i.a. anche quando sia ormai decorso il termine di decadenza per l'esercizio dei poteri inibitori ex art. 23 comma 6 cit. t.u. n. 380 del 2001, deve essere opportunamente coordinato con il principio di certezza dei rapporti giuridici e di salvaguardia del legittimo affidamento del privato nei confronti dell'attività amministrativa; mentre i terzi, che si assumano lesi dal silenzio serbato dall'Amministrazione a fronte della presentazione della d.i.a., sono legittimati a gravarsi non avverso il silenzio stesso ma, nelle forme dell'ordinario giudizio di impugnazione, avverso il titolo che, formatosi e consolidatosi per effetto del decorso del termine, si configura in definitiva come fattispecie provvedimentale a formazione implicita (cfr. Consiglio Stato , sez. IV, 25 novembre 2008 , n. 5811).Dalle considerazioni che precedono emerge pertanto l’infondatezza dell’eccezione preliminare di inammissibilità dell’impugnativa della d.i.a..»
GIUDIZIO --> IMPUGNAZIONE --> TITOLO EDILIZIO --> DIA/SCIA --> ATTO PRIVATO
Sintesi: È inammissibile la domanda con cui si chiede l'annullamento della d.i.a., dal momento che questa è atto di un soggetto privato non costituente esplicazione di una potestà pubblicistica, con la conseguenza che essa non dà luogo ad un provvedimento amministrativo tacito di assenso.
Estratto: «D’altro canto la domanda di cui ai secondi motivi aggiunti, per come formulate dal ricorrente, deve essere dichiarata inammissibile e ciò a prescindere dagli effetti sostanziali che comunque discendono dalla richiesta di annullamento del permesso di costruire del 2012.Va, invero, rilevato che già il Consiglio di Stato (cfr. sez. VI, 9-2-2009, n. 717), aderendo alla concezione cd."privatistica" della denunzia di inizio di attività, aveva affermato che questa è …”atto di un soggetto privato non costituente esplicazione di una potestà pubblicistica, con la conseguenza che essa non dà luogo ad un provvedimento amministrativo tacito di assenso”.Pertanto, la tutela del terzo controinteressato avviene non attraverso l'impugnazione della D.I.A. ovvero attraverso l'instaurazione di un giudizio sul silenzio serbato dall'amministrazione in ordine alla richiesta di esercizio del potere sanzionatorio; essa è piuttosto affidata alla possibilità di proposizione di un'azione di accertamento autonomo dinanzi al giudice amministrativo, al fine di sentire pronunziare da questo che non sussistevano i presupposti per svolgere l'attività sulla base della D.I.A..Sul piano normativo il nuovo art. 19, comma 6-ter, della L. 7.8.1990, n. 241 stabilisce che “ La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104”.Ne consegue che la domanda proposta con i motivi aggiunti nel presente giudizio, non rispondendo a tale paradigma, risulta inammissibile.Anche a voler prescindere da tale ultima conclusione sembra, in ogni caso, far difetto altresì un valido interesse in capo al ricorrente, tenuto conto che i lavori - per sua stessa ammissione - non hanno avuto seguito, essendo stati intrapresi nel 2012, ossia solo successivamente al rilascio dell’impugnato permesso di costruire.»
Sintesi: Non è condivisibile la tesi che individua il mezzo di tutela del terzo controinteressato con l’esercizio dell’azione nei confronti del silenzio-rifiuto nei confronti del mancato esercizio del potere inibitorio, poiché il silenzio-rifiuto postula, sul piano strutturale, la sopravvivenza del potere al decorso del tempo fissato per la definizione del procedimento amministrativo, mentre, nel caso della d.i.a., lo spirare del termine perentorio di legge implica la definitiva consumazione del potere inibitorio.
Sintesi: Non può essere accolta la tesi che ritiene che il terzo che intende opporsi all'intervento assentito tramite d.i.a. debba agire con il rito avverso il silenzio serbato dall'amministrazione su una sua istanza volta a sollecitare l'esercizio del potere di autotutela: tale soluzione, infatti, non è idonea a tutelare in modo efficace la sfera giuridica del terzo perché procrastina il momento dell'accesso alla tutela giurisdizionale e comunque perché, all'esito del giudizio, data la natura discrezionale del potere di autotutela il G.A. non potrebbe che limitarsi ad una mera declaratoria dell'obbligo di provvedere, senza poter predeterminare il contenuto del provvedimento da adottare.
Sintesi: Non è condivisibile la tesi che individua il mezzo di tutela del terzo controinteressato con l’esercizio dell’azione nei confronti del silenzio-rifiuto nei confronti del mancato esercizio del potere sanzionatorio, posto che il potere richiamato dall’articolo 21 della legge n. 241/1990 è soggetto a stringenti limiti che lo rendono inidoneo a soddisfare, in modo effettivo e pieno, la posizione del terzo, quali ad es. il fatto che la legislazione di settore consente all’amministrazione l’adozione di sanzioni pecuniarie che, per loro natura, sono inidonee a soddisfare l’interesse del terzo ad ottenere una misura che impedisca l’attività denunciata e neutralizzi gli effetti dalla stessa già prodotti.
Estratto: «6. Appurato che la denuncia di inizio attività non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare l’intenzione di intraprendere un’attività direttamente ammessa dalla legge, si devono ora analizzare, al fine di rispondere al secondo quesito sottoposto all’Adunanza Plenaria, gli strumenti di tutela a disposizione del terzo che si ritenga leso dallo svolgimento dell’attività dichiarata e dal mancato esercizio del potere inibitorio.6.1. Secondo una tesi in passato maggioritaria il terzo potrebbe invocare la tutela dell’interesse legittimo pretensivo di cui è titolare con l’esercizio dell’azione nei confronti del silenzio-rifiuto (o inadempimento), oggi disciplinata dagli artt. 31 e 117 del codice del processo amministrativo (così, ex multis, Cons. Stato, sez. V, 22 febbraio 2007, n. 948; Sez. IV, 4 settembre 2002, n. 4453).Una prima impostazione, inquadrabile in questa linea di pensiero, reputa che detto silenzio-rifiuto (o inadempimento) si configuri con riferimento all’esercizio del doveroso potere inibitorio. Ad avviso di un’altra lettura, invece, il terzo, decorso senza esito il termine per l'esercizio del potere inibitorio, sarebbe legittimato a richiedere all'Amministrazione l’adozione dei provvedimenti di "autotutela", attivando, in caso di inerzia, il rimedio di cui alle richiamate norme del codice del processo amministrativo. Non manca, infine, chi fa riferimento al silenzio-rifiuto maturato in ordine all’esplicazione del potere sanzionatorio di cui all’art. 21 della legge n. 241/1990.Nessuna delle esposte ricostruzioni risulta dogmaticamente ineccepibile e, soprattutto, idonea a garantire al terzo, titolare di una situazione giuridica differenziata e qualificata, una tutela piena, immediata ed efficace.6.1.1. L’applicazione del rito del silenzio all’omesso esercizio del potere inibitorio doveroso è resa problematica dalla circostanza che il silenzio-rifiuto postula, sul piano strutturale, la sopravvivenza del potere al decorso del tempo fissato per la definizione del procedimento amministrativo, mentre, nella specie, lo spirare del termine perentorio di legge implica la definitiva consumazione del potere in esame. In altre parole, nel silenzio-inadempimento lo spirare del termine di legge non conclude il procedimento ma accentua il dovere della p.a. di porre fine all’illecito comportamentale permanente, al contrario di quanto accade nel caso di specie dove l’inerzia dell’amministrazione che si protragga oltre i confini di cui all’art. 19, comma 3, della legge n. 241/1990, conclude il procedimento estinguendo il potere amministrativo di divieto. Ne consegue che, anche a voler ritenere che l’azione nei confronti del silenzio-rifiuto sia proponibile, in conformità all’ampio tenore letterale dell’art. 31, comma 1, del codice del processo amministrativo, con riguardo ad un potere ufficioso, nel caso in esame il decorso del tempo non configura una mera inerzia nell’esercizio di un potere ancora esistente - ossia una violazione del permanente obbligo di definizione della procedura, stigmatizzabile con un ricorso, proposto nel termine annuale di cui all’art. 31, comma 2, del codice del processo amministrativo, al fine di sollecitare una risposta esplicita dell’amministrazione ancora titolare del potere - ma produce un esito negativo della procedura, sotto il profilo della definitiva preclusione dell’esercizio del potere inibitorio.La protrazione del silenzio amministrativo dà luogo, quindi, ad un esito negativo del procedimento che produce la lesione dell’interesse pretensivo del terzo al conseguimento della misura inibitoria (con correlato consolidamento della legittimazione del denunciante a porre in essere l’attività), non tutelabile con il rimedio congegnato dal legislatore con riguardo al silenzio-inadempimento.6.1.2. Non è persuasiva neanche la ricostruzione che, proprio prendendo le mosse da tali considerazioni, reputa praticabile il rimedio avverso il silenzio non significativo mantenuto dall’amministrazione a fronte dell’istanza proposta dal terzo al fine di eccitare l’esercizio del potere di autotutela di cui si è detto.Anche questa soluzione non coglie nel segno perché non è idonea a tutelare in modo efficace la sfera giuridica del terzo.Innanzitutto, questi avrebbe l'onere, prima di agire in giudizio, di presentare apposita istanza sollecitatoria alla P.A., così subendo una procrastinazione del momento dell’accesso alla tutela giurisdizionale, e, quindi, specie con riguardo alla d.i.a. ad efficacia immediata, un’incisiva limitazione dell’effettività della tutela giurisdizionale in spregio ai principi di cui agli artt. 24, 103 e 113 Cost.Inoltre, e soprattutto, l'istanza sarebbe diretta ad eccitare non il potere inibitorio di natura vincolata (che si estingue decorso il termine perentorio di legge), ma il c.d. potere di autotutela evocato dall’art. 19, comma 3, della legge n. 241/1990 tramite il richiamo ai principi sottesi agli artt. 21-quinquies e 21-nonies. Tale potere, tuttavia, è ampiamente discrezionale in quanto postula la rammentata ponderazione comparativa, da parte dell’amministrazione, degli interessi in conflitto, con precipuo riferimento al riscontro di un interesse pubblico concreto e attuale che non coincide con il mero ripristino della legalità violata. Nell'eventuale giudizio avverso il silenzio-rifiuto, quindi, il giudice amministrativo non potrebbe che limitarsi ad una mera declaratoria dell'obbligo di provvedere, senza poter predeterminare il contenuto del provvedimento da adottare. Evidente risulta, allora, la compressione dell’interesse del terzo ad ottenere una pronuncia che impedisca lo svolgimento di un’attività illegittima mediante un precetto giudiziario puntuale e vincolante che non subisca l’intermediazione aleatoria dell’esercizio di un potere discrezionale.In definitiva, se la lesione dell’interesse pretensivo del terzo è ascrivibile alla mancata adozione di un provvedimento inibitorio doveroso, è incongruo che la tutela debba riguardare l'esercizio del diverso e più condizionato potere discrezionale di autotutela.6.1.3. Non è immune da censure neanche la tesi che postula l’attivazione del rito del silenzio rifiuto al fine di contrastare l’omessa adozione dei provvedimenti sanzionatori, posto che il potere richiamato dall’articolo 21 della legge n. 241/1990 è soggetto a stringenti limiti che lo rendono inidoneo a soddisfare, in modo effettivo e pieno, la posizione del terzo. Si consideri, in particolare, che la legislazione di settore consente all’amministrazione l’adozione di sanzioni pecuniarie che, per loro natura, sono inidonee a soddisfare l’interesse del terzo ad ottenere una misura che impedisca l’attività denunciata e neutralizzi gli effetti dalla stessa già prodotti.La sincronizzazione del meccanismo di tutela con i connotati della posizione soggettiva lesa, ossia l’interesse pretensivo ad ottenere una concreta misura interdittiva, esige allora, in un’ottica costituzionalmente orientata, di accedere ad una lettura del sistema delle tutele che consenta al terzo di esperire un’azione idonea ad ottenere il risultato della cessazione dell’attività lesiva non consentita dalla legge mediante il doveroso intervento dell’amministrazione titolare del potere di inibizione.»
Sintesi: Il terzo che intende opporsi all'attività oggetto della d.i.a. dovrà impugnare ex art. 29 cod. proc. amm. nell'ordinario termine decadenziale il silenzio osservato dall’amministrazione nel termine perentorio previsto dalla legge per l’esercizio del potere inibitorio, qualificabile come atto tacito di diniego del provvedimento inibitorio.
Estratto: «6.2. Ai fini dello scrutinio delle tecniche di tutela praticabili dal terzo si deve allora approfondire la questione della natura giuridica del silenzio osservato dall’amministrazione nel termine perentorio previsto dalla legge per l’esercizio del potere inibitorio.6.2.1. Riprendendo le considerazioni in precedenza svolte sul tema, detto silenzio si distingue dal silenzio-rifiuto (o inadempimento) in quanto, mentre quest’ultimo non conclude il procedimento amministrativo ed integra una mera inerzia improduttiva di effetti costitutivi, il decorso del termine in esame pone fine al procedimento amministrativo diretto all’eventuale adozione dell’atto di divieto; pertanto, nella fattispecie in esame, il silenzio produce l’effetto giuridico di precludere all’amministrazione l’esercizio del potere inibitorio a seguito dell’infruttuoso decorso del termine perentorio all’uopo sancito dalla legge. In definitiva, a differenza del silenzio rifiuto che costituisce un mero comportamento omissivo, ossia un silenzio non significativo e privo di valore provvedimentale, il silenzio di che trattasi, producendo l’esito negativo della procedura finalizzata all’adozione del provvedimento restrittivo, integra l’esercizio del potere amministrativo attraverso l’adozione di un provvedimento tacito negativo equiparato dalla legge ad un, sia pure non necessario, atto espresso di diniego dell’adozione del provvedimento inibitorio.Che detta inerzia costituisca un silenzio significativo negativo lo si ricava anche dalla considerazione che l’attivazione di un procedimento doveroso finalizzato all’adozione della determinazione inibitoria implica l’esistenza di un potere il quale, all’esito della verifica circa la sussistenza dei presupposti per l’esercizio dell’attività denunciata, può naturalmente essere speso tanto in senso positivo, con l’adozione dell’atto espresso di interdizione, quanto con una determinazione negativa tacita alternativa all’esito provvedimentale espresso. Trattasi, quindi, di un provvedimento per silentium con cui la p.a., esercitando in senso negativo il potere inibitorio, riscontra che l’attività è stata dichiarata in presenza dei presupposti di legge e, quindi, decide di non impedire l’inizio o la protrazione dell’attività dichiarata.La disciplina in esame può essere accostata a fattispecie concettualmente analoghe, con particolare riguardo a quelle prese in esame dall’indirizzo giurisprudenziale che ammette l'impugnabilità, da parte dei terzi controinteressati, dei c.d. provvedimenti negativi, con cui l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato archivia una determinata denuncia o comunque rifiuta di esercitare il proprio potere interdittivo o sanzionatorio (Cons. Stato, Sez. VI, 23 luglio 2009, n. 4597; 3 febbraio 2005, n. 280).Sul piano delle situazioni soggettive detto atto tacito consolida l’affidamento del denunciante circa la legittimazione allo svolgimento dell’attività, lasciando detto soggetto esposto al rischio del più limitato potere di autotutela. Al tempo stesso il silenzio frustra l’interesse pretensivo del terzo, portatore di una posizione differenziata e qualificata, ad ottenere l’adozione del provvedimento interdittivo nel rispetto del principio di imparzialità dell’azione amministrativa.Detto silenzio significativo negativo si differenzia dal silenzio accoglimento (o assenso) di cui all’articolo 20 della legge n. 241/1990 perché si riferisce al potere inibitorio mentre il silenzio assenso presuppone la sussistenza di un potere ampliativo di stampo autorizzatorio o concessorio che nella specie si è visto non ricorrere. Ne consegue che mentre nel silenzio assenso il titolo abilitativo è dato dal provvedimento tacito dell’autorità, nella fattispecie in esame il titolo abilitante è rappresentato dall’atto di autonomia privata che, grazie alla previsione legale direttamente legittimante, consente l’esercizio dell’attività dichiarata senza il bisogno dell’intermediazione preventiva di un provvedimento amministrativo.Va ancora osservato che la qualificazione del silenzio in parola alla stregua di atto tacito di diniego del provvedimento inibitorio chiarisce la portata del richiamo dell’articolo 19, comma 3, della legge n. 241/1990 alle disposizioni di cui all’art. 21 quinquies e 21 nonies in quanto l’esercizio del potere di autotutela si traduce nel superamento della precedente determinazione favorevole al denunciante.Da ultimo, la qualificazione del silenzio in esame come provvedimento tacito, onerando il terzo portatore dell’interesse pretensivo leso al rispetto del termine decadenziale di impugnazione, soddisfa l’esigenza di certezza dei rapporti giuridici ed il principio comunitario di tutela dell’affidamento legittimo del denunciante consolidatosi a seguito del decorso del tempo.6.3. La configurazione del silenzio in esame alla stregua di silenzio significativo produce, infatti, precise conseguenze in merito alle tecniche di tutela praticabili del terzo controinteressato all’esercizio dell’attività denunciata.Venendo in rilievo un provvedimento per silentium, la tutela del terzo sarà affidata primariamente all’esperimento di un’azione impugnatoria, ex art. 29 del codice del processo amministrativo, da proporre nell’ordinario termine decadenziale.Quanto al dies a quo del ricorso per annullamento, ai sensi di legge il termine decadenziale di sessanta giorni per proporre l'azione prende a decorrere solo dal momento della piena conoscenza dell’adozione dell’atto lesivo (cfr. art. 41, comma 2, del codice).A tale proposito, ai fini dell’accertamento della conoscenza dell’atto lesivo, trovano applicazione i principi interpretativi consolidati, elaborati in materia di impugnazione di provvedimenti in materia edilizia e urbanistica.Alla stregua del condivisibile orientamento interpretativo di questo Consiglio (Sez. VI, n. 717/2009 cit.), la decorrenza del termine decadenziale, in materia edilizia, non può essere di norma fatta coincidere con la data in cui i lavori hanno avuto inizio, in quanto, come la giurisprudenza ha già specificato per l'impugnazione dei titoli abilitativi edilizi, il termine inizia a decorrere quando la costruzione realizzata rivela in modo certo ed univoco le essenziali caratteristiche dell'opera e l'eventuale non conformità della stessa al titolo o alla disciplina urbanistica. Ne deriva che, in mancanza di altri ed inequivoci elementi probatori, il termine per l’impugnazione decorre non con il mero inizio dei lavori, bensì con il loro completamento (così Cons. Stato, Sez. IV, 5 gennaio 2011, n. 18, secondo cui il termine per ricorrere in sede giurisdizionale da parte dei terzi avverso atti abilitativi dell'edificazione decorre da quando sia percepibile la concreta entità del manufatto e la sua incidenza effettiva sulla propria posizione giuridica; Cons. Stato, Sez. VI, 10 dicembre 2010, n. 8705, ad avviso della quale il completamento dei lavori è considerato indizio idoneo a far presumere la data della piena conoscenza del titolo edilizio, salvo che venga fornita la prova di una conoscenza anticipata).Va soggiunto che, nel caso in cui la piena conoscenza della presentazione della d.i.a. avvenga in uno stadio anteriore al decorso del termine per l’esercizio del potere inibitorio, il dies a quo coinciderà con il decorso del termine per l’adozione delle doverose misure interdittive.6.4. Ci si deve chiedere, a questo punto, se l’azione di annullamento proposta dal terzo possa essere ritualmente accompagnata, ai fini del completamento della tutela, dall’esercizio di un’azione di condanna dell’amministrazione all’esercizio del potere inibitorio.6.4.1. Con la decisione 23 marzo 2011, n. 3, questa Adunanza, nel dare risposta positiva al quesito generale relativo all’esperibilità di un’azione di condanna pubblicistica all’esercizio del potere autoritativo in materia di interessi pretensivi, ha fatto leva sulla disciplina dettata dal codice del processo amministrativo in materia di tecniche di tutela dell’interesse legittimo.Il codice, infatti, portando a compimento un lungo e costante processo evolutivo e dando attuazione armonica ai principi costituzionali e comunitari in materia di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale, oltre che ai criteri di delega fissati dall'art. 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, ha ampliato le tecniche di tutela dell'interesse legittimo mediante l'introduzione del principio della pluralità delle azioni. Si sono, quindi, aggiunte alla tutela di annullamento la tutela di condanna (risarcitoria e reintegratoria ex art. 30), la tutela dichiarativa (con l'azione di nullità del provvedimento amministrativo ex art. 31, comma 4) e, in materia di silenzio-inadempimento, l'azione di condanna (cd. azione di esatto adempimento) all'adozione del provvedimento, anche previo accertamento, nei casi consentiti, della fondatezza della pretesa dedotta in giudizio (art. 31, commi da 1 a 3).Si è nell’occasione osservato che il decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, sia pure in maniera non esplicita, ha ritenuto esperibile, anche in presenza di un provvedimento espresso di rigetto e sempre che non vi osti la sussistenza di profili di discrezionalità amministrativa o tecnica, l'azione di condanna volta ad ottenere l'adozione dell'atto amministrativo richiesto. Ciò alla stregua del combinato disposto dell'art. 30, comma 1, che fa riferimento all'azione di condanna senza la tipizzazione dei relativi contenuti (sull'atipicità di detta azione si sofferma la relazione governativa di accompagnamento al codice) e dell'art. 34, comma 1, lett. c), ove si stabilisce che la sentenza di condanna deve prescrivere l'adozione di misure idonee a tutelare la situazione soggettiva dedotta in giudizio (cfr., con riguardo al quadro normativo anteriore, Cons. Stato, Sez. VI, 15 aprile 2010, n. 2139; 9 febbraio 2009, n. 717).In definitiva, l’architettura del codice, in coerenza con il criterio di delega fissato dall'art. 44, comma 2, lettera b, n. 4, della legge 18 giugno 2009, n. 69, ha superato la tradizionale limitazione della tutela dell'interesse legittimo al solo modello impugnatorio, ammettendo l'esperibilità di azioni tese al conseguimento di pronunce dichiarative, costitutive e di condanna idonee a soddisfare la pretesa della parte vittoriosa.Di qui, la trasformazione del giudizio amministrativo, ove non vi si frapponga l'ostacolo dato dalla non sostituibilità di attività discrezionali riservate alla pubblica amministrazione, da giudizio amministrativo sull'atto, teso a vagliarne la legittimità alla stregua dei vizi denunciati in sede di ricorso e con salvezza del riesercizio del potere amministrativo, a giudizio sul rapporto regolato dal medesimo atto, volto a scrutinare la fondatezza della pretesa sostanziale azionata.Va poi osservato che, secondo la ricostruzione offerta dalla richiamata decisione dell’Adunanza Plenaria, alla stregua dell'inciso iniziale del comma 1 dell'art. 30, salvi i casi di giurisdizione esclusiva del giudizio amministrativo (segnatamente, con riferimento alle azioni di condanna a tutela di diritti soggettivi) ed i casi di cui al medesimo articolo (relativi proprio alle domande di risarcimento del danno ingiusto di cui ai successivi commi 2 e seguenti), la domanda di condanna può essere proposta solo contestualmente ad altra azione in guisa da dar luogo ad un simultaneus processus che obbedisce ai principi di concentrazione processuale ed economia dei mezzi giuridici. Ne deriva che la domanda tesa ad una pronuncia che imponga l'adozione del provvedimento satisfattorio non è ammissibile se non accompagnata dalla rituale e contestuale proposizione della domanda di annullamento del provvedimento negativo (o del rimedio avverso il silenzio ex art. 31).6.4.2. Applicando dette coordinate ermeneutiche al caso che ne occupa si deve concludere che il terzo è legittimato all’esercizio, a completamento ed integrazione dell’azione di annullamento del silenzio significativo negativo, dell’azione di condanna pubblicistica (cd. azione di adempimento) tesa ad ottenere una pronuncia che imponga all’amministrazione l’adozione del negato provvedimento inibitorio ove non vi siano spazi per la regolarizzazione della denuncia ai sensi del comma 3 dell’art. 19 della legge n. 241/1990.La proposizione di detta azione è, infatti, coerente, sul piano processuale, con il ricordato disposto dell’art. 30, comma 1, del codice, trattandosi di domanda proposta contestualmente a quella di annullamento.Risultano rispettati anche i limiti posti dall’art. 31, comma 3, visto che lo jussum giurisdizionale non produce un’indebita ingerenza nell’esercizio di poteri discrezionali riservati alla pubblica amministrazione ma, sulla scorta dell’accertamento dell’esistenza dei presupposti per il doveroso potere inibitorio, impone una determinazione amministrativa non connotata da alcun profilo di discrezionalità.Si deve soggiungere che tale soluzione, anticipando alla fase della cognizione un effetto conformativo da far valere altrimenti nel giudizio di ottemperanza, consente un’accelerazione della tutela coerente, oltre che con il generale principio di effettività della tutela giurisdizionale, con la stessa propensione mostrata dal codice (cfr. art. 34, comma 1, lett. e) a trasfondere nel contenuto della sentenza di cognizione l’adozione di misure attuative tradizionalmente proprie dell’esecuzione.Alla stregua di consolidati principi giurisprudenziali, la proposizione di detta azione di condanna, in aggiunta e a completamento di quella di annullamento, deve essere valutata sulla scorta dell’apprezzamento della portata effettiva del ricorso alla luce del petitum sostanziale in esso contenuto.6.5. Tanto detto circa le coordinate della tutela azionabile dal terzo dopo il perfezionamento della decisione amministrativa di non adottare la misura inibitoria, si pone l’ulteriore problema relativo agli spazi di accesso alla giustizia amministrativa rivendicabili dal terzo che subisca una lesione in un arco di tempo anteriore al decorso del termine perentorio fissato dalla legge per l’esercizio di tale potere.Infatti, specie alla luce dell’introduzione della d.i.a. a legittimazione immediata e dell’avvento della s.c.i.a., è possibile che l’attività denunciata abbia inizio prima della formazione del provvedimento negativo suscettibile di impugnazione. Detta eventualità è peraltro configurabile anche con riguardo al generale modello della d.i.a. a legittimazione differita di cui al previgente art. 19 della legge n. 241/1990, in virtù del quale il dichiarante è legittimato all’esercizio dell’attività trenta giorni dopo la presentazione della dichiarazione mentre il potere inibitorio è esercitabile entro i trenta giorni dalla comunicazione dell’avvenuto inizio dell’attività stessa.Ci si deve allora chiedere se il terzo possa agire in giudizio, nello spatium temporis che separa il momento in cui la d.i.a. produce effetti legittimanti dalla scadenza del termine per l’esercizio del potere inibitorio, al fine di ottenere una pronuncia che impedisca l’inizio o la prosecuzione, con effetti anche irrimediabilmente lesivi dell’attività dichiarata, non essendo accettabile in linea di principio che vi possa essere un “periodo morto” (non coperto cioè neanche dalla tutela ante causam di cui si dirà in seguito) in cui un interesse rimanga privo di tutela. Un’azione deve essere dunque esperibile per garantire la verifica dei presupposti di legge per l’esercizio dell’attività oggetto di denuncia. Osserva il Collegio che, non essendosi ancora perfezionato il provvedimento amministrativo tacito e non venendo in rilievo un silenzio-rifiuto, l’unica azione esperibile è l’azione di accertamento tesa ad ottenere una pronuncia che verifichi l’insussistenza dei presupposti di legge per l’esercizio dell’attività oggetto della denuncia, con i conseguenti effetti conformativi in ordine ai provvedimenti spettanti all’autorità amministrativa.L’Adunanza deve al riguardo farsi carico del duplice problema dell’ammissibilità di un’azione atipica e della compatibilità di detta azione, nel caso di specie, con il limite fissato dal comma 2 dell’art. 34 del codice del processo in punto di divieto dell’adozione di pronunce con riguardo a poteri non ancora esercitati.6.5.1. Quanto al primo aspetto, l’Adunanza, in adesione alla tesi già sostenuta da questo Consiglio, con riguardo al panorama normativo anteriore al decreto legislativo n. 104/2010 (Sez. VI, decisioni n. 717/2009, 2139/2010, citt.), reputa che l’assenza di una previsione legislativa espressa non osti all’esperibilità di un’azione di tal genere quante volte, come nella specie, detta tecnica di tutela sia l’unica idonea a garantire una protezione adeguata ed immediata dell’interesse legittimo.Sviluppando il discorso già avviato dall’Adunanza Plenaria con la richiamata decisione n. 3/2011, si deve, infatti, ritenere che, nell’ambito di un quadro normativo sensibile all’esigenza costituzionale di una piena protezione dell’interesse legittimo come posizione sostanziale correlata ad un bene della vita, la mancata previsione, nel testo finale del codice del processo, dell’azione generale di accertamento non precluda la praticabilità di una tecnica di tutela, ammessa dai principali ordinamenti europei, che, ove necessaria al fine di colmare esigenze di tutela non suscettibili di essere soddisfatte in modo adeguato dalle azioni tipizzate, ha un fondamento nelle norme immediatamente precettive dettate dalla Carta fondamentale al fine di garantire la piena e completa protezione dell’interesse legittimo (artt. 24, 103 e 113).Anche per gli interessi legittimi, infatti, come pacificamente ritenuto nel processo civile per i diritti soggettivi, la garanzia costituzionale impone di riconoscere l'esperibilità dell'azione di accertamento autonomo, con particolare riguardo a tutti i casi in cui, mancando il provvedimento da impugnare, una simile azione risulti indispensabile per la soddisfazione concreta della pretesa sostanziale del ricorrente.A tale risultato non può del resto opporsi il principio di tipicità delle azioni, in quanto corollario indefettibile dell'effettività della tutela è proprio il principio della atipicità delle forme di tutela.In questo quadro la mancata previsione, nel testo finale del codice, di una norma esplicita sull’azione generale di accertamento, non è sintomatica della volontà legislativa di sancire una preclusione di dubbia costituzionalità, ma è spiegabile, anche alla luce degli elementi ricavabili dai lavori preparatori, con la considerazione che le azioni tipizzate, idonee a conseguire statuizioni dichiarative, di condanna e costitutive, consentono di norma una tutela idonea ed adeguata che non ha bisogno di pronunce meramente dichiarative in cui la funzione di accertamento non si appalesa strumentale all’adozione di altra pronuncia di cognizione ma si presenta, per così dire, allo stato puro, ossia senza sovrapposizione di altre funzioni. Ne deriva, di contro, che, ove dette azioni tipizzate non soddisfino in modo efficiente il bisogno di tutela, l’azione di accertamento atipica, ove sorretta da un interesse ad agire concreto ed attuale ex art. 100 c.p.c., risulta praticabile in forza delle coordinate costituzionali e comunitarie richiamate dallo stesso art 1 del codice oltre che dai criteri di delega di cui all’art. 44 della legge n. 69/2009.Tale evenienza ricorre proprio con riguardo alla tutela invocata dal terzo al cospetto della presentazione di una denuncia pregiudizievole, quante volte la denuncia, producendo un effetto legittimante istantaneo, o comunque anticipato rispetto al decorso del termine per l’esercizio del potere inibitorio, possa produrre effetti lesivi che fanno nascere l’interesse ad agire in giudizio in un momento anteriore alla definizione del procedimento amministrativo.La soluzione è suffragata anche da un’interpretazione sistematica delle norme dettate dal codice del processo amministrativo che, pur difettando di una disposizione generale sull’azione di mero accertamento, prevedono la definizione del giudizio con sentenza di merito puramente dichiarativa agli artt. 31, comma 4 (sentenza dichiarativa della nullità), 34, comma 3 (sentenza dichiarativa dell’illegittimità quante volte sia venuto meno l’interesse all’annullamento e persista l’interesse al risarcimento), 34, comma 5 (sentenza di merito dichiarativa della cessazione della materia del contendere), 114, comma 4, lett. b (sentenza dichiarativa della nullità degli atti adottati in violazione od elusione del giudicato).Soprattutto, l’azione di accertamento è implicitamente ammessa dall’art. 34, comma 2, del codice del processo amministrativo, secondo cui “in nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati”. Detta disposizione, che riproduce l’identica formulazione contenuta nella soppressa norma del testo approvato dalla Commissione del Consiglio di Stato, dedicata all’azione generale di accertamento, vuole evitare, in omaggio al principio di separazione dei poteri, che il giudice si sostituisca alla pubblica amministrazione esercitando una cognizione diretta di rapporti amministrativi non ancora sottoposti al vaglio della stessa. Detta disposizione non può che operare per l’azione di accertamento, per sua natura caratterizzata da tale rischio di indebita ingerenza, visto che le altre azioni tipizzate dal codice sono per definizione dirette a contestare l’intervenuto esercizio (od omesso esercizio) del potere amministrativo.6.5.2. Si deve a questo punto valutare se, nel caso della d.i.a., l’esperimento, da parte del terzo, di un’azione di accertamento volta ad evitare gli effetti lesivi derivanti dall’esercizio dell’attività nel limitato arco di tempo prima descritto, violi il limite sancito dal citato art. 34, comma 2, del codice.Tale norma è contenuta in una disposizione relativa alle sentenze di merito e fa divieto al giudice di pronunciare su “poteri non ancora esercitati”.E’ indubbio, quindi, che fino al termine di conclusione del procedimento il giudice non possa adottare una pronuncia di merito. Tale impedimento cessa però alla scadenza del termine predetto, che implica la definizione della procedura con l’esercizio del potere nei sensi prima esposti.Per i ricorsi proposti anteriormente all’esercizio del potere inibitorio e a partire dal momento in cui la d.i.a. produce effetti giuridici legittimanti si deve fare applicazione del consolidato insegnamento giurisprudenziale che distingue tra i presupposti processuali - ossia i requisiti che devono sussistere ai fini della instaurazione del rapporto processuale - che devono esistere sin dal momento della domanda, e le condizioni dell’azione - ossia i requisiti della domanda che condizionano la decidibilità della controversia nel merito - che devono esistere al momento della decisione (cfr. Cass., sez. I, 9 ottobre 2003, n. 15082; conf. Cass. 8338/2000; 4985/1998; Sez. un. 1464/1983; 3940/1988; Cass., Sez. lav., n. 1052/1995).Nella specie, la scadenza del termine di conclusione del procedimento è un fatto costitutivo integrante una condizione dell’azione che, ai sensi del disposto dell’art. 34, comma 2, cit., deve esistere al momento della decisione.Ne deriva che l’assenza del definitivo esercizio di un potere ancora in fieri, afferendo ad una condizione richiesta ai fini della definizione del giudizio, non preclude l’esperimento dell’azione giudiziaria anche se impedisce l’adozione di una sentenza di merito ai sensi del citato capoverso dell’art. 34.Per converso, in ossequio ai principi prima ricordati in tema di effettività e di pienezza della tutela giurisdizionale, di cui la tutela interinale è declinazione fondamentale, il giudice amministrativo può adottare, nella pendenza del giudizio di merito, le misure cautelari necessarie, ai sensi dell’art. 55 del codice del processo amministrativo, al fine di impedire che, nelle more della definizione del procedimento amministrativo di controllo e della conseguente maturazione della condizione dell’azione, l’esercizio dell’attività denunciata possa infliggere al terzo un pregiudizio grave ed irreparabile.Sono adottabili, a fortiori, misure cautelari ante causam, al fine di assicurare gli effetti della sentenza di merito, in presenza dei presupposti all’uopo sanciti dall’art. 61 del codice del processo amministrativo. La proposizione della domanda ante causam può essere idonea a soddisfare l’esigenza di piena tutela del terzo anche senza la proposizione dell’azione di accertamento laddove i termini di legge (art. 61, comma 5) entro i quali la misura provvisoria conserva i suoi effetti prima dell’introduzione del giudizio di merito relativo al silenzio provvedimentale, siano in concreto compatibili con la preservazione delle ragioni interinali del terzo.La possibilità di adottare misure cautelari prima della definizione del procedimento amministrativo è confortata anche dalla considerazione che la misura provvisoria si appunta su un rapporto amministrativo già sottoposto al vaglio della pubblica amministrazione con la presentazione della denuncia di inizio attività e con la conseguente attivazione della procedura amministrativa finalizzata all’adozione degli eventuali provvedimenti inibitori. Se si aggiunge che l’interesse del terzo ad agire insorge sin da quanto il denunciante è abilitato all’esercizio dell’attività lesiva, si deve concludere che l’azione di accertamento proposta in via anticipata consente l’adozione di misure cautelari che, lungi dall’implicare una non consentita sostituzione nell’esercizio del potere di controllo, mira ad evitare che l’utilità dell’eventuale adozione della misura inibitoria adottata all’esito dell’esercizio del potere possa essere vanificata dagli effetti medio temporesortiti dall’esplicazione dell’attività denunciata.6.5.3. Una volta spirati i termini di legge per la definizione del procedimento con il conseguente pieno esercizio del potere amministrativo, verrà a configurarsi la condizione dell’azione mancante, con conseguente rimozione dell’ostacolo frapposto dall’articolo 34, comma 2, alla definizione del giudizio.Occorre all’uopo distinguere a seconda che la p.a. adotti o meno il provvedimento di divieto, satisfattorio dell’interesse del terzo.In caso positivo si registrerà la cessazione della materia del contendere, ex art. 34, comma 5, del codice del processo, in ragione della piena soddisfazione della pretesa del ricorrente ad evitare lo svolgimento dell’attività dichiarata.In caso negativo il giudice potrà pronunciarsi sul merito del ricorso senza che sia all’uopo necessaria la proposizione, da parte del terzo ricorrente, di motivi aggiunti, exart. 43 del codice.Va, infatti, osservato che oggetto dell’accertamento invocato con l’azione iniziale non può essere solo la mera sussistenza o insussistenza dei presupposti per svolgere l'attività sulla base di una semplice denuncia ma, in coerenza con i caratteri della giurisdizione amministrativa come giurisdizione avente ad oggetto l’esercizio del potere amministrativo ai sensi dell’articolo 7, comma 1, del codice, la sussistenza o l’insussistenza dei presupposti per l'adozione dei provvedimenti interdittivi doverosi, e, quindi, la fondatezza dell’ interesse pretensivo all’uopo azionato del terzo. Si tratta, del resto, di due aspetti strettamente connessi visto che alla verifica dell’inesistenza dei presupposti previsti dalla legge per lo svolgimento dell’attività dichiarata segue, in via indefettibile, in mancanza di spazi per la regolarizzazione, l’intervento della vincolata determinazione interdittiva.Ne deriva che, in forza del principio di economia processuale, l’azione di accertamento, una volta maturato il termine per la definizione del procedimento amministrativo, si converte automaticamente in domanda di impugnazione del provvedimento sopravvenuto in quanto la portata sostanziale del ricorso iniziale finisce per investire in pieno, sul piano del petitum sostanziale e della causa petendi, la decisione della pubblica amministrazione di non adottare il provvedimento inibitorio. E tanto specie se si considera che detto silenzio provvedimentale non introduce, per sua natura, elementi motivazionali che richiedano una specifica contestazione con una nuova iniziativa processuale. Resta salva la facoltà dell’articolazione di motivi aggiunti suggeriti dalle risultanze dell’ istruttoria svolta dall’amministrazione o dalla sopravvenienza di nuovi elementi. La proposizione di motivi aggiunti sarà invece onerosa, pena l’improcedibilità del ricorso già presentato, nell’ipotesi in cui la pubblica amministrazione, all’esito del procedimento amministrativo inaugurato con la presentazione della d.i.a., adotti un atto espresso che evidenzi le ragioni della mancata adozione della determinazione inibitoria.»
Sintesi: Il terzo controinteressato che intende opporsi all'attività edificatoria assentita tramite d.i.a. può cumulare l'azione di annullamento del provvedimento tacito di diniego dell'esercizio del potere inibitorio con una domanda di condanna dell'amministrazione all'esercizio del potere inibitorio, a condizione che non vi siano spazi per la regolarizzazione della d.i.a..
Estratto: «6.2. Ai fini dello scrutinio delle tecniche di tutela praticabili dal terzo si deve allora approfondire la questione della natura giuridica del silenzio osservato dall’amministrazione nel termine perentorio previsto dalla legge per l’esercizio del potere inibitorio.
[...
omissis: vedi sopra...]
Sintesi: Qualora il terzo controinteressato subisca una lesione nell'arco di tempo tra la presentazione della d.i.a. ad effetto immediato (s.c.i.a.) e il termine ultimo per l'esercizio del potere inibitorio dovrà esperire un'azione di accertamento tesa ad ottenere una pronuncia che verifichi l’insussistenza dei presupposti di legge per l’esercizio dell’attività oggetto della denuncia, con i conseguenti effetti conformativi in ordine ai provvedimenti spettanti alla P.A.; nondimeno - stante il divieto per il G.A. di pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati - fino al termine di conclusione del procedimento il giudice non potrà adottare una pronuncia di merito, ma solo provvedimenti cautelari, se del caso anche ante causam.
Estratto: «6.2. Ai fini dello scrutinio delle tecniche di tutela praticabili dal terzo si deve allora approfondire la questione della natura giuridica del silenzio osservato dall’amministrazione nel termine perentorio previsto dalla legge per l’esercizio del potere inibitorio.
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omissis: vedi sopra...]
Sintesi: Qualora il terzo controinteressato nell'arco di tempo tra la presentazione della d.i.a. ad effetto immediato (s.c.i.a.) e il termine ultimo per l'esercizio del potere inibitorio abbia esperito un'azione di accertamento tesa ad ottenere una pronuncia che verifichi l’insussistenza dei presupposti di legge per l’esercizio dell’attività oggetto della d.i.a., una volta spirati i termini di legge per la definizione del procedimento con il conseguente pieno esercizio del potere amministrativo potranno verificarsi diverse situazioni: a) se la P.A. ha adottato un provvedimento di divieto satisfattorio dell'interesse del terzo si avrà la cessazione della materia del contendere; b) se la P.A. non ha adottato alcun provvedimento, si perfeziona l'atto tacito di diniego dell'esercizio del potere inibitorio e l'azione di accertamento si convertirà automaticamente in un'azione impugnatoria di tale silenzio, salva la facoltà dell’articolazione di motivi aggiunti suggeriti dalle risultanze dell’istruttoria svolta dalla P.A. o dalla sopravvenienza di nuovi elementi; c) se la P.A., all’esito del procedimento amministrativo inaugurato con la presentazione della d.i.a., adotti un atto espresso che evidenzi le ragioni della mancata adozione della determinazione inibitoria, sarà necessaria la proposizione di motivi aggiunti.
Estratto: «6.2. Ai fini dello scrutinio delle tecniche di tutela praticabili dal terzo si deve allora approfondire la questione della natura giuridica del silenzio osservato dall’amministrazione nel termine perentorio previsto dalla legge per l’esercizio del potere inibitorio.
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omissis: vedi sopra...]
Sintesi: L'impostazione che riconosce che la d.i.a. costituisce atto privato si bipartisce quanto ai mezzi di tutela riconosciuti al terzo controinteressato tra l'opinione che ritiene che il terzo, decorso il termine per l'esercizio del potere inibitorio senza che la P.A. sia intervenuta, abbia legittimazione a richiedere all'Amministrazione, nell’esercizio dei poteri di vigilanza e controllo sul territorio, di porre in essere i provvedimenti di "autotutela" adottabili ai sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies legge 241/1990, attivando in caso di inerzia il rimedio di cui all'art. 117 cod. proc. amm. e la tesi che ritiene che il terzo possa esperire nei confronti del soggetto pubblico titolare del potere di vigilanza edilizia e in contraddittorio con il denunciante un’azione atipica di accertamento volta a stabilire l’insussistenza dei presupposti per svolgere l’attività edilizia sulla base di una semplice d.i.a..
Sintesi: Il terzo controinteressato che intende opporsi all'intervento assentito con d.i.a. può esperire un’azione atipica di accertamento volta a stabilire l’insussistenza dei presupposti per svolgere l’attività edilizia sulla base di una semplice d.i.a..
Estratto: «Così sommariamente ricostruite le posizioni delle parti, va evidenziato che la vicenda da cui trae origine il presente giudizio ripropone le problematiche riguardanti la qualificazione giuridica da attribuire alla d.i.a., nonché le modalità di tutela assicurate dall’ordinamento al terzo in relazione ad un’attività edilizia assentita, o comunque posta in essere, a mezzo di d.i.a. (per la cui risoluzione la sez. IV del Cons. di Stato ha di recente, con la ordinanza n° 14 del 5.01.2011, ritenuto di investire l’Adunanza Plenaria del Consesso).Occorre, per altro, rilevare che –ratione temporis – nessun rilievo assume ai fini del presente giudizio la circostanza che l’art. 49 D.L. 78/2010, conv. in L. 122/2010, mediante riscrittura dell’art. 19 L. 241/1990, abbia sostituito in via generale l’istituto della d.i.a. con quello ancor più semplificato della s.c.i.a., precisando poi al co. 4 ter che <<Le espressioni "segnalazione certificata di inizio attivita'" e "Scia" sostituiscono, rispettivamente, quelle di "dichiarazione di inizio attivita'" e "Dia", ovunque ricorrano, anche come parte di una espressione piu' ampia, e la disciplina di cui al comma 4-bis sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, quella della dichiarazione di inizio attivita' recata da ogni normativa statale e regionale>>). E ciò anche a prescindere dai profili di dubbio in ordine alla ampiezza dell’ambito di applicazione della novella in materia edilizia (cfr. ordinanza sez. IV citata).In particolare, è nota, a proposito della natura della d.i.a., l’esistenza di due differenti impostazioni giurisprudenziali, l’una delle quali individua nella fattispecie la sussistenza di un provvedimento autorizzatorio implicito derivante da una valutazione legale tipizzata (Cons. Stato, IV, 13 gennaio 2010 n.72, 24 maggio 2010, n.3263, 10 dicembre 2009, n.7730, nonché, in precedenza, Cons. Stato, sez. IV, 25 novembre 2008 , n. 5811; Cons. Stato, sez. IV, 29 luglio 2008, n. 3742; Cons. Stato, sez. IV, 12 settembre 2007 , n. 4828; Cons. Stato, sez. VI, 05 aprile 2007 , n. 1550): la d.i.a., per tale impostazione, non sarebbe uno strumento di liberalizzazione dell'attività, ma rappresenterebbe una semplificazione procedimentale che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo tacito, rispetto al quale ultimo la tutela del terzo che si pretenda leso non incontrerebbe limiti diversi da quelli ordinariamente previsti in riferimento a provvedimenti espressi.Diversamente, altra impostazione (Cons. Stato, IV, 13 maggio 2010, n.2919, 12 marzo 2009, n. 1474 e 19 settembre 2008, n. 4513) afferma essere la d.i.a. un atto di natura privata, inserito in un nuovo schema ispirato alla liberalizzazione delle attività economiche private, con la conseguenza che, per l'esercizio delle stesse, viene a non essere più necessaria l'emanazione di un titolo provvedimentale di legittimazione: il potere di verifica di cui dispone l'Amministrazione, a differenza di quanto accade nel regime a previo atto amministrativo, non sarebbe finalizzato all'emanazione dell'atto amministrativo di consenso all'esercizio dell'attività, bensì al controllo, privo di discrezionalità, della corrispondenza di quanto dichiarato dall'interessato rispetto ai canoni normativi stabiliti per l'attività in questione.Appunto quest’ultimo orientamento appare al Collegio più convincente, in particolare sulla scorta di due considerazioni. La prima è che, diversamente opinando, non si spiegherebbe per quale ragione il legislatore tiene distinto l’istituto in commento (disciplinato dall’art. 19 L. 241/1990) da quello del silenzio assenso (disciplinato dal successivo art. 20 e costituente una mera semplificazione procedimentale, in forza della quale si perviene ad una autorizzazione tacita, del tutto equipollente ad un provvedimento esplicito di accoglimento); la seconda è che tale impostazione appare in linea con l’evoluzione dell’ordinamento, caratterizzata dall’aumentare delle fattispecie in cui un esercizio del potere amministrativo non si ha sempre e necessariamente, bensì solo eventualmente (all’esito di un procedimento di verifica di quanto dichiarato ed attestato dal privato interessato, per il quale vi sono perciò ambiti sempre più ampi entro cui viene a presentare rilevanza l’assunzione diretta di responsabilità da parte sua, come appunto dimostrato dall’introduzione della s.c.i.a.).Diversi sono poi i mezzi di tutela riconosciuti al terzo controinteressato in detta fattispecie da chi opta per quest’ultima ricostruzione.Alcuni ritengono che il terzo possa agire con lo strumento del silenzio-rifiuto, ovvero che egli, decorso il termine per l'esercizio del potere inibitorio senza che la P.A. sia intervenuta, abbia legittimazione a richiedere all'Amministrazione, nell’esercizio dei poteri di vigilanza e controllo sul territorio, di porre in essere i provvedimenti di "autotutela" adottabili ai sensi degli artt. 21 quinquies e 21 nonies L. 241/1990, attivando in caso di inerzia il rimedio di cui all'art. 21-bis L. 1034/1971 (oggi art. 117 codice del processo amministrativo).Altri ritengono invece che la tutela del terzo leso sia possibile mediante l’esperimento (nei confronti del soggetto pubblico titolare del potere di vigilanza edilizia e in contraddittorio con il denunciante) di un’azione atipica di accertamento volta a stabilire l’insussistenza dei presupposti per svolgere l’attività edilizia sulla base di una semplice d.i.a.; azione il cui fondamento va trovato nel principio di effettività della tutela giurisdizionale sancito dall’art. 24 Cost. e da esercitare comunque nel termine di gg. 60 dalla conoscenza del sostanziarsi del titolo edilizio (posto che il suo regime va strutturato in modo analogo all’azione di annullamento che vi sarebbe stata qualora l’intervento fosse stato assentito a mezzo di permesso di costruire; e ciò onde assicurare la certezza dei rapporti di diritto pubblico). La cognizione di detta azione risulta oggi devoluta al G.A. nell’ambito della giurisdizione esclusiva a lui attribuita ai sensi dell’art. 133 commi 1 lett. a) n° 3, e 1 lett. f) del codice del processo amministrativo.Appunto a quest’ultima impostazione (cfr. Cons. di Stato sez. VI, n° 717 del 9.2.2009; Cons. di Stato sez. VI, n° 2139 del 15.4.2010; T.A.R. Campania-Salerno n° 1291 dell’8.2.2010; T.A.R. Calabria - Reggio Calabria n° 915 del 23.8.2010; T.A.R. Lombardia – Milano n° 4886 del 23.10.2009; T.A.R. Puglia – Bari n° 4242 del 17.12.2010) ritiene di aderire il Tribunale, stante la possibilità di assicurare all’interessato, in tal modo, una tutela effettiva e tempestiva pur in assenza di un provvedimento amministrativo suscettibile di essere impugnato secondo lo schema ordinario della tutela degli interessi legittimi.»
Sintesi: La tesi che ritiene che la d.i.a. sia un atto privato ritiene che essa non possa essere direttamente impugnata in via giurisdizionale dal terzo controinteressato, il quale può tutelare i suoi interessi mediante l’impugnazione del silenzio inadempimento da parte dell’Amministrazione, che non si pronuncia sull’istanza del controinteressato, finalizzata alla sollecitazione del potere sanzionatorio dell’Amministrazione e volta a far accertare il comportamento illegittimo dell’Amministrazione, che non ha usato il potere interdittivo oppure, secondo altra tesi, mediante la proposizione di un'azione di accertamento della carenza dei presupposti per l’esercizio delle attività oggetto di dichiarazione sottoposta allo stesso termine decadenziale previsto per l’azione di annullamento che il terzo avrebbe potuto esperire, se l’Amministrazione avesse adottato un permesso di costruire.
Estratto: «In via preliminare, va affermata la ricevibilità del ricorso in esame, attesocchè: 1) anche dopo l’entrata in vigore del predetto e vigente art. 19, comma 3, secondo periodo, L. n. 241/1990 (nel testo modificato dal D.L. n. 35/2005 conv. nella L. n. 80/2005, entrato in vigore il 16.3.2005...
[...omissis...]
Sintesi: La d.i.a. non è immediatamente impugnabile: l'azione a tutela del terzo che si ritenga leso dall'attività svolta sulla base della D.I.A. è quindi quella di accertamento dell'inesistenza dei presupposti.
Estratto: «Il collegio ritiene, infatti, di aderire all'orientamento che appare ormai maggioritario (v., da ultimo, C.S., VI, 15 aprile 2010, n. 2139), secondo cui la D.I.A. non ha natura provvedimentale implicita, trattandosi al contrario di un atto del privato, come tale non immediatamente impugnabile innanzi al T.A.R.L'azione a tutela del terzo che si ritenga leso dall'attività svolta sulla base della D.I.A. non è, quindi, l'azione di annullamento, ma l'azione di accertamento dell'inesistenza dei presupposti della D.I.A. Tale azione (che sebbene non espressamente prevista trova il suo fondamento nel principio dell'effettività della tutela giurisdizionale sancito dall'art. 24 della Costituzione) va tuttavia proposta innanzi al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva ex art. 34 del D.Lg.vo n. 80/1998 - nei confronti del soggetto pubblico che ha il compito di vigilare sulla D.I.A. (verso il quale si produrranno poi gli effetti conformativi derivanti dall'eventuale sentenza di accoglimento), in contraddittorio con il denunciante, che assume la veste di soggetto controinteressato (perché l'eventuale accoglimento della domanda di accertamento andrebbe ad incidere negativamente sulla sua sfera giuridica).È appena il caso di precisare che la sentenza che accerta l'inesistenza dei presupposti della D.I.A. ha effetti conformativi nei confronti dell'amministrazione, in quanto le impone di porre rimedio alla situazione nel frattempo venutasi a creare sulla base della D.I.A., segnatamente di ordinare l'interruzione dell'attività e l'eventuale riduzione in pristino di quanto nel frattempo realizzato.Detto potere, in quanto volto a dare esecuzione al comando implicitamente contenuto nella sentenza di accertamento, deve essere esercitato a prescindere sia dalla scadenza del termine perentorio previsto dall'art. 19 della legge n. 241/1990, per l'adozione dei provvedimenti inibitori - repressivi, sia dalla sussistenza dei presupposti dell'autotutela decisoria richiamati sempre dall'art. 19, cit.Non si tratta, invero, né di un potere di autotutela propriamente inteso (e, quindi, non richiede alcuna valutazione sull'esistenza di un interesse pubblico attuale e concreto prevalente sull'interesse del privato), né del potere inibitorio tipizzato dall'art. 19 della legge n. 241/1990 (per il quale è previsto il termine perentorio).Si tratta, al contrario, di un potere che ha diversa natura e che trova il suo fondamento nell'effetto conformativo del giudicato amministrativo, da cui discende, appunto, il dovere per l'amministrazione di determinarsi tenendo conto delle prescrizioni impartite dal giudice nella motivazione della sentenza (v., in termini, C.S. n. 2139/2010, cit.).»
Sintesi: L’azione a tutela del terzo che si ritenga leso dall’attività svolta sulla base della d.i.a. non è l’azione di annullamento, ma l’azione di accertamento dell’inesistenza dei presupposti della d.i.a.
Sintesi: La sentenza che accerta l’inesistenza dei presupposti della d.i.a. ha effetti conformativi nei confronti dell’Amministrazione, in quanto le impone di porre rimedio alla situazione nel frattempo venutasi a creare sulla base della d.i.a., segnatamente di ordinare l’interruzione dell’attività e l’eventuale riduzione in pristino di quanto nel frattempo realizzato.
Estratto: «5. Occorre innanzitutto procedere alla riqualificazione giuridica dell’azione proposta in primo grado dall’odierno appellante: a dispetto del nomen iuris utilizzato, quella proposta non è una azione di annullamento della d.i.a., ma, più correttamente, un’azione di accertamento della inesistenza dei presupposto per procedere all’attività edilizia sulla base della d.i.a.Il Collegio ritiene, infatti, di confermare l’orientamento (già espresso da questa Sezione con la decisione n. 717/2009), secondo cui la d.i.a. non ha natura provvedimentale, trattandosi al contrario di un atto del privato, come tale non immediatamente impugnabile innanzi al T.a.r. L’azione a tutela del terzo che si ritenga leso dall’attività svolta sulla base della d.i.a. non è, quindi, l’azione di annullamento, ma l’azione di accertamento dell’inesistenza dei presupposti della d.i.a. Tale azione (che sebbene non espressamente prevista trova il suo fondamento nel principio dell’effettività della tutela giurisdizionale sancito dall’art. 24 Cost.) va proposta nei confronti del soggetto pubblico che ha il compito di vigilare sulla d.i.a. (verso il quale si produrranno poi gli effetti conformativi derivanti dall’eventuale sentenza di accoglimento), in contraddittorio con il denunciante, che assume la veste di soggetto controinteressato (perché l’eventuale accoglimento della domanda di accertamento andrebbe ad incidere negativamente sulla sua sfera giuridica.).E’ appena il caso di precisare che la sentenza che accerta l’inesistenza dei presupposti della d.i.a. ha effetti conformativi nei confronti dell’Amministrazione, in quanto le impone di porre rimedio alla situazione nel frattempo venutasi a creare sulla base della d.i.a., segnatamente di ordinare l’interruzione dell’attività e l’eventuale riduzione in pristino di quanto nel frattempo realizzato.Tale potere, in quanto volto a dare esecuzione al comando implicitamente contenuto nella sentenza di accertamento, deve essere esercitato a prescindere sia dalla scadenza del termine perentorio previsto dall’art. 19 l. n. 241/1990 per l’adozione dei provvedimenti inibitori-repressivi, sia dalla sussistenza dei presupposti dell’autotutela decisoria richiamati sempre dall’art. 19. Non si tratta, infatti, né di un potere di autotutela propriamente inteso (e, quindi, non richiede alcuna valutazione sull’esistenza di un interesse pubblico attuale e concreto prevalente sull’interesse del privato), né del potere inibitorio tipizzato dall’art. 19 l. n. 241/1990 (per il quale è previsto il termine perentorio). Si tratta, al contrario, di un potere che ha diversa natura e che trova il suo fondamento nell’effetto conformativo del giudicato amministrativo, da cui discende, appunto, il dovere per l’Amministrazione di determinarsi tenendo conto delle prescrizioni impartite dal giudice nella motivazione della sentenza. Nel caso di specie, non vi sono ostacoli a riqualificare l’azione di annullamento come azione di accertamento, in quanto sussistono i presupposti sostanziali e processuali di quest’ultima azione: da un lato, infatti, il contraddittorio è stato correttamente instaurato sia con il Comune che con i soggetti controinteressati; dall’altro, al di là del nomen iuris utilizzato, l’intero ricorso è chiaramente volto a contestare la sussistenza dei presupposti legittimanti la d.i.a.»
Sintesi: La tutela del terzo controinteressato avviene non attraverso l’impugnazione della d.i.a. ovvero attraverso l’instaurazione di un giudizio sul silenzio serbato dall’amministrazione in ordine alla richiesta di esercizio del potere sanzionatorio; essa è piuttosto affidata alla possibilità di proposizione di un’azione di accertamento autonomo dinanzi al giudice amministrativo, al fine di sentire pronunziare da questo che non sussistevano i presupposti per svolgere l’attività sulla base della d.i.a..
Estratto: «Con atti di motivi aggiunti, il primo notificato in data 8-1-2004 e depositato il 28-1-2004, il secondo notificato il 21-10-2005 e depositato il 31-10-2005, le signore Palumbo Esterina e Palumbo Carolina hanno, altresì, impugnato:la denunzia di inizio attività presentata da De Pascale Rosalba in data 8-10-2003, con riferimento ad opere in variante alla concessione edilizia n. 1167 del 18-8-2003;il provvedimento amministrativo implicito di assenso all’esecuzione di opere edilizie indicate nella prefata denunzia di inizio di attività;la mancata emanazione di ordine di non esecuzione dei lavori;il silenzio da parte del Comune di Roccapiemonte sulla diffida di esse ricorrenti, diretta ad ottenere, in via di autotutela, il silenzio assenso ovvero l’autorizzazione implicita formatasi sulla D.I.A. in variante.Le domande di cui ai motivi aggiunti, per come formulate dalle ricorrenti, devono essere dichiarate inammissibili (e ciò a prescindere dagli effetti sostanziali che comunque derivano dall’annullamento della concessione edilizia in questa sede pronunziato sulla abilitazione ad eseguire opere in variante; invero questa costituisce accessorio della concessione originaria e presuppone, dunque, per la sua concreta operatività l’esistenza dell’atto autorizzatorio principale, in concreto venuto meno per effetto della pronunzia giurisdizionale di annullamento).Va, invero, rilevato che il Consiglio di Stato (cfr. sez. VI, 9-2-2009, n. 717), aderendo alla concezione cd. “privatistica” della denunzia di inizio di attività, ha affermato che questa è atto di un soggetto privato non costituente esplicazione di una potestà pubblicistica, con la conseguenza che essa non dà luogo ad un provvedimento amministrativo tacito di assenso.Pertanto, la tutela del terzo controinteressato avviene non attraverso l’impugnazione della d.i.a. ovvero attraverso l’instaurazione di un giudizio sul silenzio serbato dall’amministrazione in ordine alla richiesta di esercizio del potere sanzionatorio; essa è piuttosto affidata alla possibilità di proposizione di un’azione di accertamento autonomo dinanzi al giudice amministrativo, al fine di sentire pronunziare da questo che non sussistevano i presupposti per svolgere l’attività sulla base della d.i.a.Le domande proposte con i motivi aggiunti nel presente giudizio, non rispondendo a tale paradigma, risultano inammissibili.»
Sintesi: L'azione con la quale il G.A. è chiamato a definire le controversie in materia di d.i.a. ha ad oggetto le pretese avanzate sulla sussistenza o meno dello ius aedificandi in capo ai soggetti agenti: pertanto, ancorché il ricorso sia introdotto in veste di formale impugnazione, non trovano applicazione le norme in tema di azione di annullamento.
Estratto: «2. Con il primo motivo di ricorso si deduce il difetto di motivazione dei provvedimenti impugnati, obbligo che persisterebbe nella specie ad onta della peculiarità dell’istituto della denuncia di inizio attività in materia edilizia.Al riguardo, va premesso che, a seguito delle modifiche apportate dall’art. 3 della legge provinciale 15 dicembre 2004, n. 10, larga parte degli interventi sugli edifici esistenti è passibile di realizzazione tramite denuncia d’inizio di attività, e non più ad autorizzazione, strumento che è stato contestualmente soppresso.Quanto alla natura dell’azione con la quale il giudice amministrativo è chiamato a definire le controversie in materia di denuncia di inizio attività questo Tribunale ha già chiarito che, vertendosi nella sede della giurisdizione esclusiva, non trovi applicazione l’azione di annullamento, propria della giurisdizione generale di legittimità, avendo ad oggetto le pretese avanzate la sussistenza o meno dello ius aedificandi in capo ai soggetti agenti, ancorché il ricorso sia introdotto in veste di formale impugnazione (cfr., sentenza 14.5.2008, n. 111).Orbene, in detta costruzione dell’istituto, nella quale non esiste una domanda da parte del privato (la denuncia di inizio attività non è formalmente né sostanzialmente un’istanza), l'ordine di non iniziare i lavori, peraltro da adottarsi in tempi assai contenuti, non è assimilabile ad un formale provvedimento di reiezione di un’inesistente istanza di parte, ma altro non esprime se non la mera contestazione della sussistenza dei presupposti per dar corso alle opere edilizie oggetto della previa dichiarazione.La denuncia di inizio attività si risolve dunque in uno strumento di massima semplificazione il quale, restando sottoposto al riscontro della sussistenza dei presupposti in fatto ed in diritto meramente allegati nella previa denuncia dei privato ed all’eventuale repressione dell’illecito edilizio, sconta tale innovativo connotato in termini di minori garanzie procedimentali.Quanto al fatto che l'ordine di non iniziare i lavori sarebbe immotivato, non individuando puntuali ragioni ostative all’esecuzione delle opere progettate, osserva il Collegio che, all’opposto, esso trova fondamento nell’assunto contrasto dell’intervento “con le caratteristiche paesaggistiche tipologiche degli edifici nel centro storico”.Con la deliberazione del Consiglio comunale n. 8 del 29.6.2005 era stato invero stabilito l’“indirizzo in merito alle modalità di verifica delle D.I.A. da parte della Commissione edilizia comunale in attesa delle modifiche da apportare al Regolamento edilizio comunale”. Con la suddetta, vincolante direttiva era stato in particolare deciso che “eventuali interventi esterni agli edifici (specie in centro storico ed in particolar modo per le facciate degli edifici rivolti e/o visibili da Piazza 2 Maggio, Via Negrelli, Via 4 Novembre….)” dovranno essere tipologicamente “compatibili e quindi, di norma, vietati”; che “solo a seguito di un'attenta verifica da parte della CE gli stessi potranno essere autorizzati a condizione che, sempre fatte salve le norme urbanistiche vigenti, presentino, da tutte le angolazioni visibili, una compiuta soluzione architettonica, debitamente armonizzata con l'insieme al quale appartengono e quindi presentare una compatibilità architettonica e stilistica con il prospetto interessato, rispettosa dell'insieme architettonico dell'intero nucleo abitativo e delle tradizioni locali”.»
Estratto: «Circa l’inammissibilità dell’impugnazione delle D.I.A., il Collegio richiamandosi alla propria giurisprudenza (cfr., ad es., la sentenza 14.5.2008, n. 111) osserva che la relativa azione si configura come accertamento dell’insussistenza dello ius aedificandi in capo ai soggetti agenti, nell’ambito della giurisdizione esclusiva del G.A.; l’azione esperita non è conseguentemente da inquadrarsi nel paradigma dell’impugnazione di un virtuale provvedimento tacito, bensì nel quadro delle azioni di accertamento.»
Sintesi: L'impugnazione della D.I.A. non va inquadrata nel paradigma dell’impugnazione di un virtuale provvedimento tacito, bensì nel quadro delle azioni di accertamento.
Sintesi: Non è condivisibile l'indirizzo per cui il terzo che si ritenga leso dalla d.i.a. debba sollecitare la P.A. all'esercizio dei poteri inibitori e poi eventualmente agire contro il silenzio-rifiuto; del pari non può essere condivisa la tesi che ritiene che la d.i.a. consista in un'autorizzazione tacita, e che il terzo debba impugnare la fattispecie tacitamente assentita, essendo la d.i.a. un atto meramente privato che non muta la sua natura per effetto del tempo trascorso e del silenzio.
Sintesi: Il terzo che si ritiene leso dalla d.i.a. non deve né impugnare la fattispecie tacitamente assentita, né ha l'onere di sollecitare la P.A. ad esercitare i poteri inibitori per poi eventualmente agire contro il silenzio-rifiuto, ma più correttamente deve esperire un'azione dichiarativa volta ad ottenere l'accertamento della mancanza dei presupposti per svolgere l’attività sulla base di una semplice denuncia di inizio di attività.
Estratto: «7.5. Appurato che la d.i.a. non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita, ma un atto privato, si tratta ora di capire quale siano gli strumenti di tutela a disposizione del terzo che si ritenga leso. 7.6. Alcuni ritengono che il terzo possa agire con lo strumento del silenzio-rifiuto; ed è questa la tesi sostenuta dagli appellanti principale e incidentale.Secondo questa impostazione, il terzo, decorso il termine per l’esercizio del potere inibitorio senza che la P.A. sia intervenuta, sarebbe legittimato a richiedere all’Amministrazione di porre in essere i provvedimenti di “autotutela” previsti, attivando in caso di inerzia il rimedio di cui all’art. 21-bis l. n. 1034/1971.Questa soluzione non è, tuttavia, condivisibile, perché finisce per compromettere notevolmente la possibilità di tutela del terzo. Innanzitutto, questi avrebbe l’onere, prima di agire in giudizio, di presentare apposita istanza sollecitatoria alla P.A.Inoltre, e soprattutto, l’istanza sarebbe diretta a sollecitare non il potere inibitorio di natura vincolata (che si estingue decorso il termine perentorio di 30 gg), ma il c.d. potere di autotutela evocato tramite il richiamo agli artt. 21-quinquies e 21-nonies. Tale potere, tuttavia, è ampiamente discrezionale, dovendo l’Amministrazione prima di intervenire valutare gli interessi in conflitto (tenendo conto anche dell’affidamento ingeneratosi in capo al denunciante) e la sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale, che non coincide con il mero ripristino della legalità violata. Nell’eventuale giudizio avverso il silenzio-rifiuto, quindi, il G.A. non potrebbe che limitarsi ad una mera declaratoria dell’obbligo di provvedere, senza poter predeterminare il contenuto del provvedimento da adottare (Cons. Stato, sez. V, 9 ottobre 2007, n. 5271), e tutto ciò renderebbe ancor più lunga e faticosa la tutela del terzo. 7.7. Al contrario, per individuare gli strumenti di tutela che il terzo può attivare, si deve partire da una premessa di fondo, che scaturisce dal principio costituzionale dell’effettività della tutela giurisdizionale: quella secondo cui la sostituzione del provvedimento espresso con la d.i.a. non può avere l’effetto di diminuire le possibilità di tutela giurisdizionale offerte al terzo contro interessato, costringendolo negli angusti limiti del giudizio contro il silenzio-rifiuto. Gli strumenti di tutela giurisdizionale del terzo debbono rimanere sostanzialmente immutati anche laddove l’intervento edilizio (o, più ingenerale, l’attività svolta) trovi fondamento nella d.i.a. anziché nel provvedimento. Va, quindi, certamente condivisa la preoccupazione di assicurare al terzo l’effettività della tutela giurisdizionale, preoccupazione che, come si è visto, sta alla base della tesi che ammette l’azione di annullamento della d.i.a. innanzi al Giudice amministrativo. Tale preoccupazione non può, tuttavia, condurre allo stravolgimento della natura dell’istituto, trasformando quella che è una dichiarazione privata in un atto dell’amministrazione o in una fattispecie ibrida che nasce privata e. diventa pubblica per effetto del tempo trascorso e del silenzio.Tale strumento di tutela non può, allora, che essere identificato nell’azione di accertamento autonomo che il terzo può esperire innanzi al giudice amministrativo per sentire pronunciare che non sussistevano i presupposti per svolgere l’attività sulla base di una semplice denuncia di inizio di attività. Emanata la sentenza di accertamento, graverà sull’Amministrazione l’obbligo di ordinare la rimozione degli effetti della condotta posta in essere dal privato, sulla base dei presupposti che il giudice ha ritenuto mancanti.»
Sintesi: L'azione che il terzo può esperire per ottenere l'accertamento dell'insussistenza dei presupposti per realizzare l'intervento edilizio sulla base di una semplice d.i.a. è sottoposta all'ordinario termine decadenziale, che decorrerà non dal mero inizio dei lavori bensì con il loro completamento, a meno che non si deducano l'assoluta inedificabilità dell'area o analoghe censure, nel qual caso risulta sufficiente la conoscenza dell'iniziativa in corso.
Estratto: «Appurata l’ammissibilità anche nel giudizio amministrativo di una azione di accertamento atipica, occorre ora, al fine di decidere sull’eccezione di tardività pure riproposta dagli odierni appellanti, delineare con maggiore dettaglio il regime giuridico di tale azione. Anche a tal fine, si deve muovere dalla premessa concettuale secondo cui, il terzo che si ritenga leso da una attività svolta sulla base di una d.i.a. deve avere, in linea di principio, le stesse possibilità di tutela che avrebbe avuto a fronte di un provvedimento di autorizzazione rilasciato dalla P.A. Da ciò discende, ad avviso del Collegio, che l’azione di accertamento in tal caso sarà sottoposta allo stesso termine di decadenza (di sessanta giorni) previsto per l’azione di annullamento che il terzo avrebbe potuto esperire se l’Amministrazione avesse adottato un permesso di costruire. Non si ritiene applicabile un diverso termine di natura prescrizionale in quanto l’azione, ancorché di accertamento, non è diretta alla tutela di un diritto soggettivo, ma di un interesse legittimo.7.12. Quanto alla decorrenza di tale termine, è utile richiamare la giurisprudenza amministrativa in merito al dies a quo per impugnare la concessione edilizia (ora permesso di costruire).Secondo la tesi tradizionale, al fine della decorrenza del termine per l'impugnazione di una concessione edilizia rilasciata a terzi, l’effettiva conoscenza dell'atto si ha quando la costruzione realizzata rivela in modo certo ed univoco le essenziali caratteristiche dell’opera e l'eventuale non conformità della stessa al titolo o alla disciplina urbanistica, sicché, in mancanza di altri ed inequivoci elementi probatori, il termine decorre non con il mero inizio dei lavori, bensì con il loro completamento, a meno che non si deducano l'assoluta inedificabilità dell'area o analoghe censure, nel qual caso risulta sufficiente la conoscenza dell'iniziativa in corso (Consiglio Stato , sez. IV, 8 luglio 2002 , n. 3805).7.12.1. Mutatis mutandis, deve, allora, ritenersi che il termine decadenziale per proporre l’azione di accertamento oggetto del presente giudizio sia iniziato a decorrere solo dal momento in cui le originarie ricorrenti sono venute a conoscenza della d.i.a. e della lesività dell'intervento edilizio realizzato sulla base della stessa. Non assume, pertanto, valore decisivo la circostanza, dedotta dal Comune di Verona, che le ricorrenti fossero a conoscenza del progetto presentato dalle signore Scudellari e Lucchi ben oltre i sessanta giorni antecedenti, perché ciò che rileva, come correttamente osserva il T.a.r., non è la conoscenza del progetto, ma la conoscenza del titolo sulla cui base l’intervento è realizzato. Né il dies a quo può essere fatto coincidere con la data in cui i lavori hanno avuto inizio, in quanto, come la giurisprudenza ha già specificato per l’impugnazione dei titoli abilitativi edilizi, il termine inizia a decorrere quando la costruzione realizzata rivela in modo certo ed univoco le essenziali caratteristiche dell'opera e l'eventuale non conformità della stessa al titolo o alla disciplina urbanistica, sicché, in mancanza di altri ed inequivoci elementi probatori, il termine decorre non con il mero inizio dei lavori, bensì con il loro completamento.»