Estratto: «L’impugnativa relativa alla deliberazione della Giunta Municipale del Comune di Paternò n. 468 del 30 ottobre 2009, avente ad oggetto “Piano Generale degli Impianti – Approvazione variante in ampliamento”, che, secondo quanto dedotto con il primo motivo, sarebbe nulla perché adottata in totale difetto di attribuzione da parte della Giunta Municipale...
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Sintesi: Il ricorso contro la sanzione edilizia è inammissibile qualora non sia impugnato anche il presupposto diniego di accertamento di conformità.
Estratto: «A riguardo, il Comune resistente ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti per non avere i ricorrenti impugnato il diniego di accertamento di conformità del luglio del 2007 quale atto presupposto dei provvedimenti con tali motivi impugnati.L’eccezione è parzialmente fondata.Lo è solo per la parte in cui il ricorso per motivi aggiunti è volto ad impugnare il provvedimento n. 705 del 15 febbraio 2008, con il quale si ordina ai ricorrenti di rimuovere una pompeiana con struttura in legno e di ripristinare lo stato dei luoghi, e non già per la parte in cui è volto ad impugnare il provvedimento n. 457 del 4 febbraio 2008, con il quale viene ordinata ai ricorrenti “la cessazione dell’utilizzazione abusiva dell’immobile con la ricostituzione della destinazione turistico-ricettiva (compreso l’accampionamento nella categoria D2)” e non già la rimozione delle opere edilizie abusive di cui al verbale n. 102 del 19 settembre 2006 che viene invece contestualmente ordinata alla Fedo s.r.l..Solo in relazione, infatti, al succitato provvedimento n. 705 del 2008 il diniego di accertamento di conformità del luglio del 2007 si pone, per quanto riguarda i ricorrenti, come atto presupposto. Ciò in quanto il suddetto diniego si riferisce, come più volte sottolineato, solo alle opere edilizie abusive, ritenute insanabili proprio in quanto afferenti ad un immobile in relazione al quale era stato accertato e sanzionato un ben più grave abuso consistente nel cambio di destinazione d’uso, per il quale non era stato invece richiesto alcun accertamento di conformità.»
Sintesi: La generica indicazione di impugnazione degli atti presupposti e connessi non vale a supplire l'omessa impugnazione di un atto presupposto.
Estratto: «VI. Comodità espositiva ed esigenze sistematiche rendono opportuno, ad avviso della Sezione, esaminare innanzitutto l’appello iscritto al NRG. 4509 dell’anno 2009, con il quale è stata impugnata la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sez. II, n. 389 del 17 febbraio 2009.Con tale gravame Valli s.r.l. contesta l’assunto dei primi giudici che hanno ritenuto tardivo il ricorso e sostiene, per contro, di aver acquisito la documentazione relativa al permesso di costruire in questione solo nel settembre 2006: di qui la tempestività del ricorso, a nulla rilevando la mera conoscenza del permesso indicato sul cartello esposto all’ingresso del cantiere dei lavori; d’altra parte, sempre secondo l’appellante, era da considerare comunque tempestiva la censura relativa al difetto di motivazione da cui era affetta l’autorizzazione ambientale, presupposto indispensabile per il rilascio del permesso di costruire.L’appello non è meritevole di favorevole considerazione, corretta essendo la declaratoria di irricevibilità del ricorso introduttivo del giudizio pronunciata dai primi giudici.VI.1. Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, da cui non vi è motivo di discostarsi, ai fini della decorrenza del termine per l’impugnazione di una concessione edilizia o del permesso di costruire occorre in generale la sua piena conoscenza che si verifica con la consapevolezza del contenuto specifico della concessione o del progetto edilizio ovvero ancora quando la costruzione realizzata rivela in modo certo ed in equivoco le essenziali caratteristiche dell’opera e l’eventuale non conformità della stessa alla disciplina urbanistica (C.d.S., sez. IV, 10 dicembre 2007, n. 6342; 12 febbraio 2007, n. 599; sez. V, 24 agosto 2007, n. 4485; 23 settembre 2005, n. 5033, 8 ottobre 2002, n. 5312; 8luglio 2002, n. 3805).E’ stato anche puntualizzato, per un verso, che la prova della piena ed effettiva conoscenza della concessione edilizia può essere desunta anche da elementi presuntivi, come l’intervenuta ultimazione dei lavoro o almeno quando questi siano giunti ad un punto tale che non si possa avere più alcun dubbio sulla consistenza, entità e reale portata dell’intervento edilizio assentito (C.d.S., sez. V, 3 marzo 2004, n. 1022; sez. VI, 10 giugno 2003, n. 3265), non essendo, per contro, sufficiente il mero inizio dei lavori (C.d.S., sez. V, 28 giugno 2004, n. 4790), né tanto meno l’apposizione di un cartello recante gli estremi e l’oggetto della medesima concessione (C.d.S., sez. IV, 11 aprile 2007, n. 540); per altro verso, poi, è stato precisato che la individuazione della data in cui i terzi hanno avuto piena conoscenza dell’esistenza delle violazioni della disciplina urbanistica costituisce oggetto di un accertamento di fatto da compiersi caso per caso, per cui ben può ammettersi che la data della piena conoscenza possa risalire ad un momento anteriore a quello dell’ultimazione dei lavori, ogni qualvolta dalle circostanze del caso di specie emerga effettivamente una conoscenza anticipata (C.d.S., sez. VI, 17 maggio 2002, n. 2668).VI.2. Ciò posto, con riferimento al caso di specie, occorre innanzitutto escludere qualsiasi rilevanza ai fini della decorrenza del termine di impugnazione del contestato permesso di costruire alla sola mera conoscenza della sua esistenza, ragionevolmente appresa dal cartello apposto sul luogo dove erano in esecuzione i lavori di realizzazione dell’impianto di distribuzione di carburante: infatti, non vi è alcun elemento dal quale possa ricavarsi che alla conoscenza dell’esistenza del provvedimento si accompagnasse ragionevolmente anche la consapevolezza dei vizi che (asseritamente) lo inficiavano e che di conseguenza lo rendevano lesivo della sfera giuridica dell’interessato.Tuttavia, ad avviso della Sezione, non può condividersi l’assunto dell’appellante secondo cui il termine per l’impugnazione non avrebbe potuto che decorrere dal settembre 2006, allorquando l’amministrazione di Chioggia ha rilasciato tutta la documentazione relativa al permesso di costruzione in questione, richiesta in data 10 maggio 2006.Infatti, pur non potendosi far coincidere, in mancanza di puntuali elementi di fatto, gravi, precisi e concordanti, la conoscenza del provvedimento impugnato con la predetta richiesta di documentazione in data 10 maggio 2006, deve osservarsi che dalla documentazione versata in atti risulta che in data 20 luglio 2006, il sig. Giorgio Meneghello, quale legale rappresentante della Valli s.r.l., facendo seguito alla precedente richiesta del 10 luglio 2006, aveva chiesto al Comune di Chioggia l’integrazione della documentazione già trasmessa ed in particolare: 1) la domanda presentata in data 11 novembre 2003, prot. n. 81456; 2) relazione del tecnico comunale datata 7 luglio 2005; 3) parere obbligatorio consultivo della commissione edilizia – ambientale in fata 11 luglio 2005; 4) autorizzazione n. 55 del 14 luglio 2005 in materia di bellezze naturali e di tutela dell’ambiente, resa ai sensi e per gli effetti della L.R. 31 ottobre 1994 n. 63 e del D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42; 5) concessione dell’area rilasciata dall’ANAS che prevede l’intervento richiesto; 6) tavole 1 – 2 – 3 – 4 – 5 – 6 e 7, complete di relazione tecnica.Tale richiesta, ad avviso della Sezione, assume un indiscutibile valore confessorio dell’effettiva conoscenza del provvedimento impugnato e della consapevolezza della sua lesività almeno alla predetta data del 20 luglio 2006.Con detta richiesta il legale rappresentante della società appellante ha invero spontaneamente ammesso di aver ottenuto una parte della documentazione richiesta, parte che, alla luce degli ulteriori atti richiesti (costituti dagli atti di impulso del richiedente il permesso di costruire, da relazioni, pareri tecnici e da atti presupposti al provvedimento impugnato, in riferimento ai quali si era formato il convincimento dell’amministrazione circa l’assentibilità dell’intervento richiesto), ragionevolmente fa ritenere conseguita la piena consapevolezza o quanto meno la sicura conoscibilità degli asseriti vizi che inficiavano il permesso di costruire: essa è pertanto sicuramente idonea a far decorrere i termini per l’impugnazione del permesso di costruire, laddove la disponibilità degli ulteriori atti richiesti, e gli eventuali vizi del provvedimento ad essi ricollegabili, avrebbe giustificato eventualmente la proposizione di motivi aggiunti. Del resto, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale (ex multis, C.d.S., sez. IV, 10 aprile 2008, n. 1541), per il decorso del termine per impugnazione la piena conoscenza di un provvedimento amministrativo non postula necessariamente la conoscenza di tutti i suoi elementi, essendo sufficiente quella degli elementi essenziali quali l'autorità emanante, la data, il contenuto dispositivo e il suo effetto lesivo, salva la possibilità di proporre motivi aggiunti ove dalla conoscenza integrale del provvedimento e degli atti presupposti emergano ulteriori profili di illegittimità.VI.3. Collocata pertanto la piena conoscenza del provvedimento lesivo alla data del 20 luglio 2006, il ricorso giurisdizionale notificato il 14 novembre 2006 è effettivamente tardivo.Detta tardività travolge tutte le censure fatte valere col ricorso introduttivo del giudizio nei confronti del provvedimento impugnato, ivi compresa quella relativa al preteso difetto di motivazione che inficerebbe l’autorizzazione ambientale, presupposto del predetto permesso di costruire.Né può condividersi l’assunto dell’appellante secondo cui la tardività non avrebbe potuto travolgere l’autorizzazione ambientale, da considerarsi atto diverso dal permesso di costruire e autonomo rispetto ad esso, la cui conoscenza sarebbe stata acquisita soltanto nel settembre 2006: in realtà, a prescindere da qualsiasi considerazione sotto tale profilo sulla tempestività dell’impugnazione, è decisiva la considerazione che tale atto non risulta neppure impugnato, come si ricava dalla lettura del ricorso introduttivo del giudizio, non potendo a tal fine supplire la generica dichiarazione di impugnazione degli atti presupposti e connessi, come costantemente precisato dalla giurisprudenza (C.d.S., sez. IV, 26 gennaio 2009, n. 443; sez. V, 28 dicembre 2007, n. 6711).»
Sintesi: L'atto con cui la P.A. nega l'indizione di una gara per l'assegnazione della tomba deve essere impugnato unitamente al presupposto provvedimento di trasferimento della concessione di sepolcro.
Estratto: «Ove invece il provvedimento venisse assunto nel suo significato letterale di diniego di gara per l’assegnazione della tomba il ricorso sarebbe parimenti inammissibile per non essere stato impugnato il provvedimento presupposto di autorizzazione al trasferimento della concessione del sepolcro. In sostanza, in quest’ottica ricostruttiva, se il diniego si fonda su un presupposto atto di autorizzazione al trasferimento della concessione, è evidente che, senza la rimozione di quest’ultimo, l’eventuale annullamento del diniego impugnato in nulla avvantaggerebbe il ricorrente posto che l’amministrazione non potrebbe comunque svolgere la gara. Inammissibile, per difetto di giurisdizione, è la domanda di accertamento della demanialità della tomba. L’accertamento della demanialità di un’area infatti appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario (C. S. IV 7 maggio 2007 n. 1976).»
Sintesi: È inammissibile l'impugnazione della comunicazione con cui l'Agenzia del Demanio comunica l'intervenuta stipula di un contratto di cessione di un immobile di proprietà pubblica: il ricorrente avrebbe dovuto infatti impugnare la nota con cui l'Agenzia del Demanio esplicita la volontà di provvedere in tal senso.
Estratto: «Considerato che il ricorso è manifestamente inammissibile e, può, pertanto, esser definito con sentenza in forma abbreviata;che, infatti, in data 7 giugno 2002 la ricorrente è stata informata della decisione assunta dall’Agenzia del Demanio di Roma di procedere all’alienazione dell’immobile in favore del Comune Paola...
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Sintesi: È inammissibile il ricorso contro il provvedimento si ordina il rilascio del bene se non è impugnato preventivamente l'atto di revoca della concessione.
Sintesi: È inammissibile il ricorso teso all’annullamento di un atto esecuzione viziato da invalidità derivata quando non risulti impugnato l’atto presupposto, non essendo consentita al giudice amministrativo la disapplicazione incidenter tantum di un atto presupposto non avente natura normativa; pertanto, una volta divenuto inoppugnabile l’atto presupposto, non possono farsi valere gli eventuali vizi di tale atto in sede di impugnazione di atti applicativi che lo richiamino.
Estratto: «1.a.- La giurisprudenza è consolidata nel ritenere che è inammissibile il ricorso teso all’annullamento di un atto esecuzione viziato da invalidità derivata quando non risulti impugnato l’atto presupposto, non essendo consentita al giudice amministrativo la disapplicazione incidenter tantum di un atto presupposto non avente natura normativa; pertanto, una volta divenuto inoppugnabile l’atto presupposto, non possono farsi valere gli eventuali vizi di tale atto in sede di impugnazione di atti applicativi che lo richiamino (ex multis Cons. St. Sez . IV 7 novembre 2002 n. 6101; Tar Lazio Roma Sez. II Ter 10 novembre 2008 n. 9981).1.b.- Orbene, nella fattispecie in esame, parte ricorrente ha impugnato, nel termine di decadenza, la determina dirigenziale n. 138 del 6 maggio 2008, con la quale si ordina il rilascio degli impianti, in esecuzione dell’atto di revoca della concessione, disposta con delibera giuntale n. 54 del 18 giugno 2007, notificata personalmente alla parte ricorrente in data 26.6.2007 e non impugnata nel termine di sessanta giorni ex art. 21 l. n. 1034 del 1971.La mancata impugnazione dell’atto presupposto, contenente l’effettiva lesione della sfera giuridica della ricorrente, di cui la determina n. 138/08 costituisce mero atto di esecuzione, impedisce al Collegio di entrare nel merito delle doglianze, sostanzialmente proposte avverso la decisione del Comune di riprendersi il bene della vita oggetto dell’attività della sig.ra Barbaro, stante l’ avvenuto consolidamento dell’atto sfavorevolmente incidente sulla pretesa del destinatario.»
Sintesi: Non può predicarsi in via assoluta la sussistenza di un nesso di presupposizione – consequenzialità tra la delibera di approvazione del vincolo preordinato all’esproprio e la successiva delibera di approvazione del progetto definitivo e di dichiarazione della pubblica utilità, di guisa che dall’eventuale accoglimento dell’impugnazione della seconda non possa derivare al ricorrente alcun vantaggio a causa dell’omessa previa – o contestuale impugnazione della prima delibera; l’interesse in parola può ravvisarsi ogni qual volta il ricorrente, pur non avendo gravato l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, deduca avverso la sola dichiarazione di pubblica utilità, vizi propri della stessa.
Estratto: «3.2. Ritiene al riguardo il Collegio non potersi predicare in via assoluta la sussistenza di un nesso di presupposizione – consequenzialità tra la delibera di approvazione del vincolo preordinato all’esproprio e la successiva delibera di approvazione del progetto definitivo e di dichiarazione della pubblica utilità, di guisa che dall’eventuale accoglimento dell’impugnazione della seconda non possa derivare al ricorrente alcun vantaggio a causa dell’omessa previa – o contestuale impugnazione della delibera di apposizione o reiterazione del vincolo espropriativo.Rimarca invece il Collegio che l’interesse in parola può ravvisarsi e perdurare ogni qual volta il ricorrente, pur non avendo gravato l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, deduca avverso la sola dichiarazione di pubblica utilità, vizi propri della stessa.In tal caso, l’eventuale accoglimento del gravame e il conseguente annullamento della dichiarazione di pubblica utilità ridonda con effetti vantaggiosi nella sfera giuridica del ricorrente, vivificando il suo interesse, qualora il vincolo preordinato all’esproprio sia già scaduto in corso di causa e non possa quindi più sorreggere una nuova dichiarazione di pubblica utilità, ovvero non possa più essere reiterato senza una motivazione particolarmente adeguata e rafforzata. Si rammenta, infatti, al riguardo che quantunque la giurisprudenza ammetta che la motivazione della prima reiterazione possa essere svolta con richiamo alle precedenti determinazioni e valutazioni che giustificavano l’apposizione del vincolo, in caso di reiterazione di un vincolo già rinnovato e decaduto, il Consiglio di Stato ha di recente statuito che “è necessario che la motivazione dimostri che l'autorità amministrativa abbia provveduto ad una ponderata valutazione degli interessi coinvolti, esponendo le ragioni (riguardanti il rispetto degli standard, le esigenze della spesa. specifici accadimenti riguardanti le precedenti fasi procedimentali) che inducano ad escludere profili di eccesso di potere e ad ammetterne l'attuale sussistenza dell'interesse pubblico”.(Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 ottobre 2008, n. 4765).Calando le tratteggiate coordinate ermeneutiche al caso al vaglio della Sezione si osserva che l’eventuale accoglimento del ricorso in epigrafe, proposto unicamente avverso la delibera di approvazione del progetto definitivo comportante la dichiarazione di p.u., produrrebbe un indubbio vantaggio in capo al ricorrente, qualificandone quindi l’attualità e la perduranza dell’interesse all’azione, dal momento che il vincolo espropriativo rinnovato con la deliberazione n. 40 del 26.4.2004 è nuovamente decaduto il 26.4.2009, non potendo quindi sorreggere una nuova dichiarazione di pubblica utilità se non previa un’ulteriore sua rinnovazione, la quale sarebbe subordinata all’assolvimento dei un onere motivazionale particolarmente consistente.Va conseguentemente disattesa anche l’eccezione di integrale inammissibilità del ricorso come articolata dalla difesa comunale nei termini per cui “lo stesso ricorso e i mezzi di gravame promossi nei confronti direttamente della DGC n. 80 del 24.04.2009 appaiono chiaramente inammissibili per omessa impugnativa a monte nel termine decadenziale del provvedimento presupposto (…) costituito dalla DCC n. 40 del 26.04.2004” (memoria resistente, pag. 15).Non potendosi per le ragioni più sopra illustrate, predicare un nesso di assoluta presupposizione tra la delibera consigliare di apposizione o reiterazione del vincolo espropriativo e la successiva delibera di Giunta di approvazione del progetto e connessa dichiarazione di p.u., deve quindi il Collegio pervenire ad una declaratoria di sola parziale inammissibilità del ricorso, circoscritta ai soli primi due motivi, con i quali il ricorrente svolge censure solo formalmente direzionate conto la delibera di Giunta n. 80/2009 di approvazione del progetto, ma in realtà rivolte avverso l’atto di reiterazione del vincolo.»
Sintesi: È inammissibile il ricorso contro il provvedimento di sgombero di un alloggio E.R.P. qualora non sia stato preventivamente impugnata la diffida al rilascio, che è atto presupposto su cui il primo direttamente e immediatamente si fonda.
Estratto: «CONSIDERATO che non risulta impugnato il precedente provvedimento del Comune di Licata di cui alla determina prot. n. 321 del 12.4.2008, notificata il 15.4.2008, con cui si diffidava l’odierno ricorrente a rilasciare l’immobile;RITENUTO che va dichiarata l'inammissibilità del ricorso giurisdizionale proposto avverso un provvedimento attuativo, in carenza di impugnazione dell'atto presupposto su cui direttamente ed immediatamente si fonda il primo ( cfr.ex plurimis,T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 12 dicembre 2007, n. 16210);che l’ordinanza impugnata costituisce atto meramente consequenziale, sicché, secondo il suddetto principio di diritto processuale amministrativo, il presente ricorso deve essere dichiarato inammissibile, come si è peraltro statuito in precedenti fattispecie analoghe ( v. sentenze della Sezione n.563 del 20 marzo 2009; n.1310 del 16 luglio 2009; da ultimo, 27 gennaio 2010 n. 966);»
Sintesi: È inammissibile l'impugnazione giurisdizionale del provvedimento di demolizione di opere edilizie abusivamente realizzate che surrettiziamente tenti di rimettere in discussione la legittimità del presupposto diniego di concessione edilizia in sanatoria non impugnato ed ormai divenuto inoppugnabile.
Estratto: «6. – Si può passare ora all’esame dell’appello n. 9396/1998, rivolto avverso la sentenza T.A.R. n. 796/1997, che ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dall’odierno appellante avverso il provvedimento in data 28 settembre 1994 Ord. n. 680/94 prot. 40849/86 del Sindaco del Comune di Ravenna...
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Sintesi: Il decreto di esproprio conclusivo della procedura, non svolgendo (a differenza degli atti terminali delle procedure concorsuali) un ruolo approvativo dei pregressi provvedimenti, non può consentire la deduzione, per la prima volta, di censure - ormai divenuti tardive – rivolte in realtà avverso atti presupposti di apposizione del vincolo o di approvazione del progetto, che siano divenuti ormai inoppugnabili.
Estratto: «Va osservato in proposito che l'espropriazione, ch’è classico provvedimento ablatorio della proprietà privata, richiede, quale indefettibile presupposto di legittimità, la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera pubblica, che consente appunto di avviare il relativo procedimento.Invero, con l'atto dichiarativo della pubblica utilità...
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Sintesi: Le note comunali che contestano il ritardato o mancato versamento del contributo di concessione e determinano il residuo ancora dovuto devono essere tempestivamente impugnate, a pena di inammissibilità dell'impugnazione delle cartelle esattoriali con le quali il Comune procede al recupero coattivo delle somme già richieste.
Estratto: «2. Da quanto sopra rilevato in punto di fatto segue che il ricorso deve essere rigettato, in parte perché inammissibile ed in parte perché infondato.2.1 Ed infatti a mezzo della cartella esattoriale impugnata il Comune non ha fatto altro che procedere al recupero coattivo delle somme già richieste con le note del 17 aprile 1998, le quali, quantomeno nella misura in cui contestavano l’illecito di cui all’art. 3 L. 47/85 e determinavano il residuo ancora dovuto a titolo di costo di costruzione, avrebbero dovuto essere tempestivamente impugnate, attesa la loro efficacia immediatamente lesiva degli interessi del ricorrente: non avendo questi spiegato alcun gravame avverso le suddette note, si devono ritenere inammissibili le doglianze articolate con il ricorso introduttivo del presente giudizio a mezzo delle quali si eccepisce la prescrizione delle sanzioni, l’ insussistenza delle medesime, l’incompetenza dell’Ufficio ragioneria al recupero delle somme dovute, la avvenuta riduzione del costo di costruzione per effetto delle varianti successivamente approvate, il già intervenuto integrale pagamento di tutte le somme dovute per oneri concessori e/o costo di costruzione sulle concessioni edilizie 92 e 93/89.»
Sintesi: È inammissibile il ricorso avverso il provvedimento che respinge l'istanza di un gestore di telefonia mobile per coubicare un proprio impianto presso preesistente struttura motivato in base al divieto di coubicazione stabilito nel piano di installazione degli impianti di telefonia mobile qualora non sia stato tempestivamente impugnato anche quest'ultima norma, da ritenersi immediatamente lesiva.
Estratto: «Osserva anzitutto il Collegio che le impugnate disposizioni del PLITM e, in particolare, quella dell’allegato B, che si traduce in una sostanziale fotografia dell’esistente con la previsione di “incompatibilità” e “coerenza” o “non coerenza” con i criteri del PLITM per quanto concerne la localizzazione urbanistica e/o l’inserimento paesaggistico, comportano un’immediata conformazione del territorio comunale per quanto riguarda la possibilità di insediamento degli impianti di telefonia; in particolare il combinato disposto di tale tabella e delle previsioni dettate dall’art. 15 per gli interventi sugli impianti esistenti delinea una specie di zonizzazione del territorio per quanto concerne le potenzialità di sfruttamento degli impianti esistenti non dissimile, nella sostanza, dalla tradizionale zonizzazione del territorio derivante dalla normativa urbanistica cui, come lo stesso ricorrente ricorda, la giurisprudenza ha pressoché unanimemente ricondotto l’onere di immediata impugnativa ( C.S. n. 5259 dell’8.9.2009). In particolare va smentita l’asserzione di parte ricorrente che tale disposizione – e cioè la valutazione di non coerenza urbanistica – non comportasse alcuna lesione della sfera giuridica di Telecom, che era la proprietaria dell’impianto. Al contrario la lesione c’è e si è immediatamente prodotta perché tale valutazione ha, se non altro, immediatamente limitato le potenzialità di sfruttamento economico dell’impianto, precludendo a Telecom la possibilità di stipulare contratti per concedere la coubicazione, non diversamente da quanto può accadere – mutatis mutandis - per il proprietario di un’area cui venga impressa una destinazione per la quale le NTA riconoscono una limitata o nulla possibilità di sfruttamento edificatorio. Ricapitolando, pertanto, il Collegio ritiene che si trattava di normativa immediatamente lesiva e che andava immediatamente impugnata dal proprietario dell’impianto che, in difetto, non può che trasmettere ai successivi eventuali contraenti la medesima situazione giuridica consolidatasi nei suo confronti.»
Sintesi: La non tempestiva impugnazione degli atti presupposti, rende inamissibile il ricorso avverso il decreto di esproprio per illegittimità derivate.
Estratto: «I. Il ricorso impugna il decreto definitivo di esproprio di aree già in proprietà del ricorrente, utilizzate per opere di urbanizzazione a servizio di insediamenti artigianali in prossimità dell’autoporto di Roseto.I.1) Va anzitutto rilevato che il ricorrente, come lo stesso riconosce in ricorso (pag.3), è venuto a conoscenza del procedimento ablatorio “solo successivamente all’approvazione del piano particellare d’esproprio, mediante la nota 25.6.2003 (prot. 2812/UT) del Comune di Roseto degli Abruzzi, notificata in data 30.6.2003”.Nondimeno, il ricorrente non ha ritenuto di impugnare alcun atto della procedura espropriativa (benché, come detto, ne fosse a conoscenza quanto meno a far data dal 30.6.2003) prima della impugnazione del decreto di esproprio definitivo di cui alla presente controversia.Ne discende che, stante la scadenza del termine decadenziale di legge, è preclusa, giacché irricevibile, l’impugnazione di ogni e qualsiasi atto della procedura precedente i sessanta giorni dalla notifica dell’ultimo atto impugnato, dovendo ritenersi che proprio il piano particellare di esproprio sopra citato, e come detto notificato, costituisca prova della conoscenza dell’esistenza del procedimento espropriativo a suo carico da parte del ricorrente.I.2) Neppure può argomentarsi sulla imprescindibilità della comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art.7 della legge 7 agosto 1990, n.241, prima dell’adozione del provvedimento dichiarativo della pubblica utilità dell’intervento, costituendo jus receptum che la norma citata vada interpretata “non in modo formalistico, ma con riferimento alla sua ratio concreta, che è quella di assicurare la partecipazione procedimentale del privato interessato al procedimento amministrativo, con la conseguenza che l’eventuale omissione dell’adempimento non determina illegittimità dell’azione amministrativa, laddove sia provato che il destinatario abbia avuto comunque e aliunde conoscenza del procedimento in corso, potendo quindi parteciparvi” (conf. Cons. di Stato, Sez.IV, 3.3.2009. n-1207; Cons. di Stato, Sez.V, 7 dicembre 2005, n.6990, ex pluris).I.3) Nel caso di specie, a prescindere dalla intervenuta conoscenza del procedimento in epoca ben anteriore al decreto di esproprio, che avrebbe consentito la utile partecipazione procedimentale (in alternativa e/o in cumulo alla iniziativa giurisdizionale), risulta per tabulas che il ricorrente vi ha in concreto partecipato colloquiando con l’Amministrazione in ripetute occasioni (cfr. missiva 9.7.2003, doc. 14 in produzione di parte ricorrente; atto di significazione 27.7.2004, doc. 13 in produzione di parte ricorrente), il che rende del tutto infondata la censura proposta.I.4) Tale considerazione resta immutata anche nell’ipotesi in cui i vizi sollevati rifluiscano in via derivata sul decreto definitivo di esproprio, restando appunto consolidati, per effetto della mancata impugnazione, gli atti presupposti, non più attaccabili con la tardiva impugnazione dell’atto consequenziale.II. Per effetto di quanto precede, sono inammissibili, per mancata testava impugnazione degli atti a cui i vizi sono riferibili, il secondo, terzo e sesto motivo di ricorso, che prospettano rispettivamente la mancata comunicazione di avvio del procedimento espropriativo, la mancata fissazione dei termini di inizio e compimento delle espropriazioni e dei lavori e la mancata previsione di una fascia di rispetto, già concordata inter partes, evidentemente riferibili, come lo stesso ricorrente riconosce (cfr. ricorso pag.3, in ordine alla mancata partecipazione procedimentale), agli atti iniziali (o, per quanto attiene al sesto motivo, addirittura alla fase progettuale) della procedura, per quanto sopra detto conosciuta dal ricorrente quanto meno a far data dal 30.6.2003.»
Sintesi: Costituendo, nella normativa previgente all’entrata in vigore del T.U. sulle espropriazioni, la dichiarazione di pubblica utilità di un’opera pubblica atto necessario e presupposto del provvedimento di occupazione d’urgenza, la mancata tempestiva impugnazione della determina di approvazione del progetto definitivo comporta la preclusione a dedurre, in sede di ricorso contro atti ad essa successivi (nel caso di specie decreto di occupazione), motivi in realtà attinenti la dichiarazione stessa.
Estratto: «Nella normativa in materia di espropriazioni previgente all’entrata in vigore del T.U sulle espropriazioni (30/6/2003), applicabile al caso in esame, la dichiarazione di pubblica utilità di un’opera pubblica costituiva atto necessario e presupposto tanto del provvedimento di occupazione d’urgenza quanto del decreto di occupazione e come tale era da considerarsi immediatamente lesivo e, quindi, anche immediatamente impugnabile.A ciò necessariamente consegue che la sua mancata tempestiva impugnazione determina la preclusione a dedurre, in sede di ricorso contro atti ad essa successivi, motivi in realtà attinenti la dichiarazione stessa (v. Cons. Stato, sez. IV, 12/8/2005 n. 4367; T.A.R. Lazio –RM- sez. I, 26/7/2006 n. 6245).Pertanto, nella fattispecie in esame, in cui gli atti iniziali della procedura ablativa sono tutti anteriori all’entrata in vigore del citato Testo Unico e in cui tutti i motivi di doglianza contenuti nell’atto introduttivo del giudizio sono concernenti e riferibili alla ritenuta illegittimità del “procedimento amministrativo posto in essere al fine di acquisire la disponibilità delle aree…” (v. pag. 3 del ricorso), il ricorso principale deve essere dichiarato inammissibile per mancata impugnazione degli atti presupposti e, in particolare, tra questi, della già citata deliberazione consiliare n. 180 del 24/12/2001»
Sintesi: La mancata tempestiva impugnazione della dichiarazione di pubblica utilità determina la preclusione a dedurre in sede di ricorso contro atti ad essa successivi motivi in realtà attinenti ad asseriti vizi della dichiarazione stessa.
Estratto: «E’ fondata, ad avviso del Collegio, l’eccezione di tardività del ricorso sollevata da T.A.V. s.p.a., con conseguente irricevibilità del proposto gravame.Giova premettere, in via generale, che la dichiarazione di pubblica utilità costituisce, nel quadro del complesso procedimento espropriativo...
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Sintesi: È inammissibile il ricorso con cui si chiede al G.A. la costituzione di una servitù coattiva di passsaggio su aree del demanio marittimo a seguito dell'interclusione venutasi a determinare per effetto dell'estensione dell'area oggetto di un'altra concessione demaniale marittima: il ricorrente infatti avrebbe dovuto impugnare quest'ultimo provvedimento.
Estratto: «Le associazioni ricorrenti, concessionarie di area demaniale marittima all’interno del porto di Camogli, lamentandone l’interclusione via terra, hanno chiesto la costituzione di servitù coattiva di passaggio sulle aree demaniali limitrofe occupate da Cantiere Navale di Camogli s.r.l.A fondamento dell’invocata tutela costitutiva hanno dedotto che il Comune, con provvedimento del 3.05.06 ha esteso la preesistente concessione in favore della società controinteressata fino all’area retrostante ed immediatamente adiacente a quella detenuta dalle associazioni, precludendo loro l’accesso via terra al demanio in concessione.Il comune e la società si sono costituti chiedendo al reiezione del ricorso.Alla pubblica udienza del 15.10.09 la causa su richiesta delle parti è stata trattenuta in decisione.Il ricorso è inammissibile.Le associazioni chiedono la costituzione coattiva di passaggio su area demaniale, lamentando che l’estensione della concessione in favore della controinteressata abbia intercluso l’accesso via terra all’area demaniale di cui sono affidatarie destinata a banchina d’attracco dei natanti.Pertanto le ricorrenti avrebbero dovuto impugnare la concessione in estensione, lamentando, se del caso, il fatto che non sia stato affatto previsto alcun passaggio che consentisse d’accedere alle banchine.(OMISSIS)Mette conto sottolineare a riguardo che la normativa specifica di settore di cui all’art. 37 cod. nav. prescrive infatti l’ adeguato e proficuo sfruttamento del bene demaniale e l’uso maggiormente corrispondente ad un più rilevante interesse pubblico (in termini, Cons. St., sez. VI, 16 novembre 2000 n. 6146).Sicché l’accesso all’area demaniale da parte del concessionario necessario per soddisfare lo scopo di pubblica utilità a cui è stato destinata (nel caso di specie la pratica sportiva della vela), seppure comparando le opposte esigenze in potenziale conflitto dei concessionari, deve essere comunque assicurato dall’autorità preposta alla gestisce del bene pubblico.»
Sintesi: E' inammissibile il ricorso avverso una concessione edilizia in variante in mancanza di tempestiva impugnazione dell'atto originario, sempre che tale variante resti compatibile con il disegno globale ispiratore del progetto originario, senza modificazioni di rilevante consistenza.
Sintesi: L'autonoma impugnazione della variante del permesso di costruire è ammissibile laddove essa sopraggiunga non già nell’ordinario esercizio dello ius variandi, bensì al fine di porre rimedio a difetti previsionali del titolo originario ed alla conseguente inidoneità attuativa del programma costruttivo.
Estratto: «Relativamente invece alla “variante” del permesso rilasciato nel 2004, puntualizza il collegio che è in effetti inammissibile il ricorso avverso una concessione edilizia in variante in mancanza di tempestiva impugnazione dell' atto originario, sempre che tale variante resti compatibile con il disegno globale ispiratore del progetto originario...
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Sintesi: In mancanza di tempestiva impugnazione degli atti presupposti, di cui il ricorrente ha avuto conoscenza, l’impugnativa avverso il decreto di esproprio per vizi derivati risulta inammissibile.
Estratto: «La circostanza che precede rileva ai fini della valutazione di ammissibilità del ricorso, spiegato avverso l’atto finale di una procedura impugnato per vizi derivata dalla pretesa illegittimità, a monte, di atti presupposti (mancanza di valida dichiarazione di pubblica utilità, omessa comunicazione di avvio del procedimento), ridondanti sulla legittimità dell’atto finale.In particolare, dagli atti versati in causa dal resistente Comune di Sulmona risulta che Palumbo Anna Maria, odierna ricorrente, risulta destinataria della comunicazione nn.9100 e 9101 del 21 novembre 2000, di intervenuta approvazione del progetto definitivo per la realizzazione dei parcheggi, recante anche l’ammontare dell’indennità di esproprio e l’invito all’accettazione dell’indennità, della successiva comunicazione n.9916 del 18.12.2000 di sollecito alla precedente proposta e della nota n.04181 del 29 maggio 2001 (tutti atti allegati alla produzione di parte resistente, che risultano ricevuti dalla ricorrente in persona, firmataria delle cartoline di ricevimento).Non avendo, dunque, la ricorrente impugnato tempestivamente gli atti presupposto del decreto di esproprio, di cui, come sopra detto, era a conoscenza in epoca ben anteriore alla proposizione del ricorso, sollevando vizi inerenti proprio il procedimento in generale, l’impugnativa avverso il decreto di esproprio risulta inammissibile.»
Sintesi: Inammissibili sono le censure relative a vizi degli atti del procedimento dedotti in via derivata qualora non risultino tempestivamente impugnati gli atti presupposti (nel caso di specie provvedimento di approvazione del progetto) di cui il ricorrente abbia avuto conoscenza.
Estratto: «Quanto ai vizi del progetto ed ai vizi dedotti in via derivata da illegittimità degli atti presupposti (terzo e quarto motivo di ricorso), le censure sono inammissibili non avendo parte ricorrente tempestivamente impugnato gli atti presupposti.L’Istituto, infatti, non ha mai impugnato gli atti della procedura ablatoria, atti questi tutti soggetti a pubblicazione all’albo pretorio e comunque ad esso istituto ben noti sin dalla loro adozione.Non risultano impugnati la delibera del consiglio comunale di Bari n. 247 del 21 dicembre 1994 e il decreto ministeriale dell’11 dicembre 1995 di approvazione del progetto dell’opera.Invero, l’istituto ricorrente non ha mai mostrato un qualche interesse all’annullamento degli atti della procedura espropriativa per la quale sin dalla conferenza dei servizi del 24 novembre 1995 predisposta per l’approvazione dei progetti relativi alle opere pubbliche in questione, ha mostrato totale adesione ed esplicito consenso.Non solo l’istituto non ha presentato alcuna osservazione negativa in merito alla realizzazione del progetto ma ha dichiarato la propria disponibilità alla cessione gratuita in favore dell’amministrazione comunale del suolo sul quale sarebbe stato realizzato l’impianto sportivo.»
Sintesi: Nelle procedure ad evidenza pubblica di individuazione del soggetto a cui rilasciare la concessione demaniale marittima, la fase selettiva e quella di rilascio della concessione sono distinte: pertanto, colui che intende contestare l'esito della gara non deve limitarsi ad impugnare la concessione ma anche l'approvazione dei lavori della commissione: ne deriva che il ricorso proposto soltanto contro la prima è inammissibile per omessa impugnazione di atto presupposto.
Estratto: «Giova premettere che il procedimento concluso con la concessione oggetto del ricorso di primo grado, rilasciata al controinteressato, risulta strutturato in due distinte fasi, l’una attinente alla scelta del soggetto cui affidare la gestione di spiagge libere attrezzate e, l’altra, al concreto rilascio della concessione, fasi che, pur consequenziali l’una all’altra (nel senso che presupposto del rilascio della concessione è la qualità di aggiudicatario della gara), sono nondimeno distinte ed obbediscono a paradigmi diversi.La fase dell’individuazione dell’assegnatario del servizio, iniziata con la determinazione dirigenziale n. 162 dell’8 maggio 2006, si è conclusa con la determinazione dirigenziale n. 219 del 15 giugno 2006, che approva i verbali delle sedute della commissione di gara in data 25 e 30 maggio 2006 (quest’ultimo, di rettifica del precedente verbale nel senso lamentato dal ricorrente). La determinazione dirigenziale n. 219 del 2006 non è stata impugnata dal ricorrente, che si è limitato a chiedere l’annullamento dei verbali e, segnatamente, di quello del 30 maggio 2006: esattamente, quindi, il Tar ha rilevato l’inammissibilità del ricorso, costituendo ius receptum che nella procedure ad evidenza pubblica per l’individuazione del contraente l’atto terminale della selezione è costituito dall’approvazione dei lavori della commissione da parte dell’Amministrazione procedente.L’appellante sostiene che l’impugnazione della concessione (sia pure non identificata nei suoi estremi formali) rende il ricorso complessivamente procedibile: la tesi non può essere condivisa, dal momento che il rilascio della concessione non è il provvedimento finale della procedura selettiva, ma ne costituisce mera conseguenza. Inoltre, e correlativamente, anche nel caso di annullamento dell’atto concessorio la perdurante vigenza dell’esito della procedura selettiva legherebbe l’Amministrazione a considerare il controinteressato quale destinatario della concessione posta in gara, e, conseguentemente, nessun vantaggio apporterebbe l’accoglimento del ricorso proposto avverso la concessione ma non avverso l’atto di individuazione del contraente, che resterebbe fermo.»
Sintesi: L'inoppugnabilità della concessione demaniale che contempli la possibilità di realizzare un manufatto sull'area di sedime demaniale rende inammissibili le censure proposte contro il titolo edilizio.
Estratto: «2. Si controverte, in appello, della legittimità della concessione edilizia rilasciata dal Comune all’attuale appellante, in conformità (quanto alle caratteristiche costruttive essenziali) al progetto ed alla relazione facenti parte integrante della concessione demaniale, la cui impugnazione è stata, invece, dichiarata irricevibile con la sentenza gravata.Al riguardo, è opportuno rilevare che la concessione demaniale accordata all’attuale appellante ha avuto ad oggetto non soltanto l’area di sedime appartenente al demanio comunale, ma la stessa possibilità di realizzare il manufatto in contestazione, con le medesime caratteristiche riportate poi nella concessione edilizia, in funzione dello svolgimento dell’attività utile al concessionario e nel contempo ritenuta vantaggiosa per l’Amministrazione concedente, con l’obbligo di rimuoverlo alla scadenza dei 29 anni di durata della concessione demaniale, e per ciò stesso definito “precario”.Invero, l’Autorità comunale, pur tenendo distinte le potestà esercitate, nella gestione del bene demaniale ed in ambito edilizio, ha condizionato ed autolimitato - avendo di entrambi la titolarità - i poteri inerenti alla seconda, vincolando l’autorità edilizia, quanto alle caratteristiche costruttive del manufatto che, con la relativa concessione, sarebbe stato per essere assentito.Di ciò hanno avuto consapevolezza gli stessi ricorrenti che, con l’impugnazione principale, avevano prospettato in via meramente derivativa l’illegittimità della concessione edilizia, imputando la violazione degli strumenti urbanistici direttamente alle deliberazioni della Giunta (tardivamente impugnate) e solo indirettamente e per gli effetti riflessi, alla concessione edilizia contestualmente impugnata.Quanto precede deve ritenersi che assuma, nella presente controversia, valore assorbente.E’ infatti fondata la considerazione dell’appellante secondo cui, una volta rinvenuta la corrispondenza delle caratteristiche costruttive del progetto assentito con la concessione edilizia con quelle indicate nel progetto allegato alla convenzione intercorsa con il Comune, l’inoppugnabilità delle deliberazioni con le quali è stata accordata la concessione demaniale non può che travolgere anche la concessione edilizia.E’ pertanto erroneo il procedimento logico giuridico che ha indotto il giudice di primo grado ad annullare, autonomamente, quest’ultimo provvedimento, senza neppure considerare la natura derivativa delle censure rivolte avverso la concessione edilizia.3. Le conclusioni contenute in sentenza non possono essere condivise neppure a volere considerare diretta ed autonoma l’impugnazione del titolo edilizio.Vi è, infatti, una stretta interdipendenza fra le deliberazioni di Giunta tardivamente impugnate e il titolo in questione, in quanto con la concessione demaniale è stato compiutamente definito anche quali dovessero essere le caratteristiche costruttive del manufatto da assentire, in ciò vincolando interamente il contenuto della relativa concessione.Ne consegue che le deliberazioni della Giunta municipale ed i relativi allegati (convenzione e progetto e relazione illustrativa) costituiscono pertanto presupposti la cui inoppugnabilità rende inammissibili le censure che, con riferimento alla concessione edilizia, investono le caratteristiche costruttive del manufatto.»
Sintesi: L'autore di un abuso edilizio, che non abbia impugnato il diniego di concessione di costruzione in sanatoria, decade dalla possibilità di rimettere in discussione l'abuso accertato in sede di impugnazione dell'ordine di demolizione, atteso che quest'ultimo rinviene nel diniego di sanatoria il suo presupposto.
Estratto: «In relazione all’istanza di concessione in sanatoria la commissione igienico edilizia esprimeva parere sfavorevole con provvedimento del 21.10.1997, notificato al legale rappresentante di parte ricorrente in data 25.10.1997.E’ noto che “mentre il parere favorevole della commissione edilizia non costituisce un provvedimento equipollente alla concessione in sanatoria, invece la comunicazione del parere negativo da parte del Comune costituisce manifestazione della volontà di aderire alla decisione negativa della Commissione e, quindi, avendo tutti gli elementi necessari del diniego, costituisce atto immediatamente impugnabile (ex multis, T.A.R. Lazio, Sez. II, 17 giugno 2005, n. 5075; T.A.R. Campania - Napoli, sez. IV, 21 febbraio 2006 , n. 2189; T.A.R. Sicilia Palermo Sez. III, 12-02-2007, n. 510).Il parere negativo della commissione edilizia è stato comunicato alla ricorrente e non impugnato;“l'autore di un abuso edilizio, che abbia prestato acquiescenza al diniego di concessione di costruzione in sanatoria, decade dalla possibilità di rimettere in discussione l'abuso accertato in sede di impugnazione dell'ordine di demolizione, atteso che quest'ultimo rinviene nel diniego di sanatoria il suo presupposto” (Consiglio di Stato sez.V n. 4446 del 2008). In particolare il giudice d’appello evidenzia come la mancanza della prescritta concessione edilizia sia il presupposto logico giuridico e fattuale della richiesta di permesso in sanatoria ai sensi della legge n. 47/1985 e la mancata contestazione del diniego precluda al richiedente di reiterare contestazioni circa la presunta necessità del titolo edilizio in sede di opposizione al consequenziale e dovuto ordine di demolizione. Sia il verbale di sopralluogo che l’istanza di sanatoria e il relativo diniego con notifica sono richiamati nell’atto impugnato. Le contestazioni mosse in ricorso in relazione alla presunta non necessità di titolo abilitativo per le tettoie sono dunque inammissibili, in quanto precluse dall’inoppugnabilità del diniego di concessione in sanatoria; inammissibile è anche la censura di violazione dell’art. 13.1.4 delle N.T.A. del P.R.G.C. che avrebbe dovuto essere proposta avverso il diniego espresso dalla commissione edilizia che proprio sulla scorta di tale norma era motivato. Inconferente è il richiamo all’art. 26 del d.l.vo n. 285 del 1995 che regolamenta pertinenze delle strade (intese come parcheggi, aree di sosta e ristoro) e accesi e diramazioni delle strade (intesi ad esempio come accessi ai parcheggi medesimi e viabilità privata) e non certo passi carrabili. Analogamente nessuna violazione dell’art. 9 della l. n. 47/85 è ravvisabile nel caso di specie posto che tale norma si riferisce agli interventi di ristrutturazione come definiti dall’art. 31 lett. c) della l. n. 457 del 1978 e nel caso di specie, come attestato dall’istanza di concessione in sanatoria, si è trattato di realizzazione abusiva ex novo di opere.Il provvedimento impugnato è chiaramente motivato anche con rinvio a specifici atti, tutti noti alla ricorrente; l’ordine di demolizione è stato preceduto dall’ordine di sospensione lavori n. 104/97 notificato alla ricorrente in data 6.8.1997 (cfr. allegato n. 17 prodotto dal Comune). Considerato che l’ordine di demolizione ha carattere di atto dovuto ed era stato preceduto da ordine di sospensione lavori, nessuna ulteriore comunicazione di avvio del procedimento era dovuta al ricorrente, così come nessuno specifico onere motivazionale oltre l’attestazione dell’abuso gravava sull’amministrazione (ex pluribus Tar Campania n. 1376 dell’11.3.2009, idem 27.2.2009 n. 1151, Tar Basilicata 6.2.2009 n. 44; Tar Campania 29.1.2009 n. 501; Tar Lazio 13.1.2009 n. 127; Cds sez. IV 26.9.2008 n. 4659), sicché anche gli ultimi due motivi di ricorso si appalesano fondati [così nel testo, N.d.R.].»
Estratto: «2.- Preliminarmente il Collegio deve darsi carico di delibare l’eccezione d’inammissibilità (sub specie di irricebilità per tardività) del ricorso spiegata dalla resistente amministrazione che, nelle proprie difese ha evidenziato un principio pacifico in giurisprudenza e segnatamente quello per il quale la comunicazione del parere sfavorevole della Commissione edilizia comunale costituisce rigetto della relativa domanda ed è pertanto, immediatamente impugnabile, per cui è inammissibile il ricorso contro il diniego di rilascio di permesso di costruire, ove non sia stato impugnato tempestivamente il parere sfavorevole della C.E.C.I. in precedenza comunicato all’interessato. Pertanto, poiché al ricorrente il parere negativo della C.E.C.I. risulta essere stato notificato in data 9 aprile 2008, il ricorso proposto in data 24 giugno 2008 avverso il diniego sarebbe sicuramente tardivo per violazione del termine decadenziale ex art. 21 l. n. 1034 del 1971.L’eccezione è fondata, anche alla luce delle difese rassegnate da parte ricorrente nella memoria finale depositata il 15 maggio 2009.2.a.- Il principio in questione è pacifico in giurisprudenza ed è stato di recente riaffermato da questo Tribunale con sentenza n. 1994 del 2008, con argomentazioni che necessita ribadire in questa sede : “… costituisce indirizzo giurisprudenziale costante, dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi nel caso di specie, quello secondo cui la comunicazione del parere sfavorevole della Commissione edilizia costituisce rigetto della relativa domanda ed è pertanto immediatamente impugnabile (cfr., da ultimo e per tutte, Cons. Stato, sez. V, 23 gennaio 2007 e T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 20 novembre 2006, n. 9983), e ciò perché, se è vero che la comunicazione del parere favorevole della Commissione Edilizia non ha valore di rilascio della concessione, non altrettanto può dirsi della comunicazione del parere contrario, che - se effettuata, come nel caso di specie, da parte dell'organo competente a rilasciare il titolo abilitativo richiesto - costituisce manifestazione della volontà di aderire alla decisione negativa della Commissione e, quindi, avendo tutti gli elementi necessari del diniego, costituisce atto immediatamente lesivo ed autonomamente impugnabile ….In tale prospettiva, il provvedimento dirigenziale odiernamente impugnato - sollecitato dalla ricorrente nella ventilata prospettazione della formale conclusione del procedimento – si appalesa quale meramente confermativo rispetto al già comunicato diniego (rispetto al quale non apporta alcun contenuto innovativo).Ne discende senz’altro l’inammissibilità del gravame indirizzato avverso quest’ultimo provvedimento.”2.b.- Il suesposto principio giurisprudenziale appare utilmente utilizzabile anche nel caso in esame. La documentazione versata in atti, evidenzia che: a) con nota prot. n. 1753 del 9.4.2008, ricevuta in pari data dalla moglie del ricorrente, il Comune aveva comunicato all’interessato che la Commissione edilizia integrata si era espressa in senso sfavorevole in ordine alla richiesta di permesso di costruire, sul duplice presupposto innanzi richiamato; b) che contro siffatta determinazione il ricorrente non ha proposto ricorso; c) che con la nota prot. n. 2008 del 28.4.2008, a firma del Sindaco e del Responsabile del procedimento è stato ribadito quanto già espressamente comunicato con la ridetta nota del 9.4.2008.Sostanzialmente la seconda nota si limita a confermare esattamente le ragioni del diniego già comunicate con la prima nota, non impugnata dalla parte.Da qui la fondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso.»
Sintesi: È inammissibile il ricorso contro il diniego di rilascio di permesso di costruire, ove non sia stato impugnato tempestivamente il parere sfavorevole della C.E.C. in precedenza comunicato all’interessato.
Sintesi: È inammissibile il motivo di gravame con cui si deduce l'illegittimità del provvedimento di revoca del titolo edilizio per incompetenza del soggetto che l'ha adottato qualora, intendo contestare anche l'investitura di tale soggetto, non sia impugnato anche il provvedimento con cui è stato nominato.
Estratto: «8. – La seconda doglianza d’appello investe la questione della dedotta “incompetenza del commissario ad acta Arch. Angelo Emo – nominato dal Dirigente Generale del Dipartimento Urbanistica e Governo del Territorio della Regione Calabria con provvedimento del 29 maggio 2006 – a procedere alla revoca del titolo concessorio precedentemente rilasciato dal precedente commissario ad acta” (pag. 18 app.).La censura si appalesa inammissibile sotto un duplice profilo.Essa, invero, deve considerarsi anzitutto inammissibile laddove è connotata da indubbii connotati di novità rispetto al corrispondente secondo motivo dell’originario ricorso, giacché con quest’ultimo si dava per “pacifica la competenza regionale in ordine all’annullamento ex art. 39 T.U. edilizia” (pag. 5 ric. orig.), sì che si lamentava ch’essa non l’avesse esercitata “attraverso i suoi uffici” ma “attraverso un organo straordinario quale appunto il commissario”, che comunque poteva eventualmente ritenersi legittimato solo nella persona del “commissario già nominato ex art. 21 T.U. edilizia”; mentre in appello, laddove inequivocabilmente si afferma che “sarà … lo stesso ente locale sostituito che, nell’esercizio dei suoi poteri istituzionali di autotutela, dovrà … provvedere al ritiro dell’atto emanato dall’organo straordinario che lo ha sostituito a causa della propria inerzia” (pag. 23 app.), la questione si sposta indebitamente, in violazione del noto divieto di ius novorum in secondo grado, sulla stessa competenza della Regione ad intervenire in via sostitutiva, così esautorando il Comune delle sue competenze.Ma la censura si rivela inammissibile anche laddove rimane nel solco della doglianza di primo grado, che, in quanto rivolta essenzialmente avverso la nomina di un commissario ad acta da parte della Regione per l’esercizio dei poteri de quibus, va ad investire gli atti con i quali detta investitura è stata posta in essere e cioè i provvedimenti di nomina dello stesso (delibera G.R. n.ro 359 del 22 maggio 2006 e successivo decreto D.G. n. 6340 del 29.05.2006, con i quali veniva appunto nominato il Commissario ad Acta affinché “provveda alla rivalutazione ed ai conseguenti eventuali provvedimenti in ordine al permesso di attività edilizia n. 01/CA, in data 01.03.2006, adottato dal Commissario ad Acta Antonio Mozzarella, su richiesta della ditta …”) e di individuazione dei poteri a lui conferiti, che, come correttamente rilevato dal T.A.R. con statuizione che l’atto di appello nemmeno sottopone a critica, non sono stati ritualmente gravati, nemmeno nel presente giudizio, sì che il consolidamento che ne deriva rende non conoscibile ogni eventuale vizio di incompetenza in sede di esame della legittimità dell’atto oggetto del prewsente giudizio, che detti provvedimenti di nomina presuppone e dei quali si rivela, anche alla luce della sfera di poteri con gli stessi attribuita al Commissario, per tal verso meramente esecutivo.»
Sintesi: Il decreto di esproprio conclusivo della procedura, non svolgendo un ruolo approvativo di tali pregressi provvedimenti, non può consentire la deduzione per la prima volta di censure – ormai divenuti tardive – di atti presupposti di apposizione del vincolo o di approvazione del progetto che siano divenuti ormai inoppugnabili.
Estratto: «Né può ipotizzarsi che la mancata prova della notifica del decreto di proroga biennale dell’occupazione e del decreto di espropriazione del 2004 possa rimettere in termini la parte ricorrente ai fini della contestazione degli atti presupposti relativi al piano di edilizia popolare e alla connessa dichiarazione implicita di pubblica utilità degli interventi.
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