Sintesi: L’onere di provare la tardività del ricorso grava sulla parte che tale tardività eccepisce.
Estratto: «2) Per quanto riguarda gli altri atti impugnati, il Comune ha formulato un’eccezione di tardività del ricorso principale e di quello per motivi aggiunti in quanto l’impugnativa della D.I.A. e la contestazione della legittimità dei lavori doveva esser effettuate nell’ordinario termine di decadenza di 60 giorni derivanti dalla data di conoscenza dell’atto o evento lesivo che, secondo la difesa Comunale, dovrebbe farsi risalire alla posa in opera della pavimentazione poi sanzionata con Determinazione Dirigenziale n. 272 del 9.3.2007, di cui le opere successive sarebbero un mero completamento.L’eccezione si rileva infondata.La posa in opera della pavimentazione sanzionata nel 2007 è opera diversa dai successivi lavori assentiti con D.I.A. nel 2009, che assumono degli aspetti di sicura autonomia.A questi ultimi si riferisce il ricorso principale (che contesta tra l’altro una trasformazione funzionale), di tal che la data di effettuazione dei lavori nel 2007 non può fungere da dies a quo per il decorso del termine per impugnare la D.I.A. presentata nel 2009 e per contestare la legittimità di interventi effettuati anni dopo.Detto questo, il Collegio rileva altresì come sia pacifico che l’onere di provare la tardività del ricorso grava sulla parte che tale tardività eccepisce.Inoltre, similmente a quanto avviene per l’impugnativa del permesso di costruire da parte del terzo, l’effettiva conoscenza dell’atto, ai fini della decorrenza del temine a quo, può dirsi conseguita quando la costruzione realizzata riveli in modo certo ed univo le caratteristiche essenziali dell’opera e l’eventuale non conformità della stessa al titolo o alla disciplina urbanistica, sicché, in mancanza di altri in equivoci elementi probatori, il termine decorre non con il mero inizio dei lavori bensì con il loro completamento, a meno che non si deduca l’inedificabilità assoluta dell’area o analoghe censure, nel qual caso risulterebbe sufficiente la conoscenza dell’iniziativa in corso (Cons. Stato, Sez. IV, 8 luglio 2002, n. 3805; Cons. Stato, Sez. VI, 9 febbraio 2009, n. 717).Nel caso di specie, i lavori erano ancora in corso al momento dell’impugnativa, né sussiste la prova che vi sia stata effettiva conoscenza, nei termini sopra indicati, ad una data anteriore ai sessanta giorni alla presentazione del ricorso.L’eccezione deve quindi essere rigettata.»
Sintesi: Se la parte non rispetta i termini del rito speciale incorre in un errore processuale che determina decadenza, salva la ricorrenza dell’errore scusabile. Parimenti, se il giudice di primo grado non rispetta il rito speciale, incorre in un errore che, se del caso, può dar luogo a vizio della sentenza contestabile con i rimedi impugnatori che l’ordinamento appresta.
Estratto: «7. Quanto alla ulteriore questione, - se l’errore del giudice di primo grado, consistente nell’applicare il rito ordinario in luogo di quello speciale, possa far considerare consequenziale e scusabile l’errore della parte che propone appello rispettando i termini del rito ordinario anziché quelli del rito speciale - la plenaria non intende discostarsi da quanto da essa già statuito con la propria decisione n. 10 del 2011, fermo restando che dei principi ivi espressi occorre fare corretta applicazione caso per caso.7.1. Si è in tale decisione affermato (par. 29.1., lett. c), che al fine della verifica se una determinata controversia rientri o meno nell’ambito di applicazione del rito dell’art. 23-bis, della legge Tar, da un lato è del tutto irrilevante il comportamento processuale delle parti e, dall’altro lato, è del pari irrilevante la condotta processuale tenuta dal giudice nel corso del giudizio di primo grado, trattandosi di evenienza che non esclude ex se la doverosa applicazione del rito (ordinario o speciale), effettivamente stabilito dalla legge [in tal senso anche Cons. St., sez. IV, 23 dicembre 2010 n. 9376].7.2. Aggiunge ora la plenaria che i riti speciali e il loro ambito applicativo sono stabiliti dalla legge, per ragioni che rientrano nelle scelte discrezionali del legislatore (nel caso del rito dell’art. 23-bis, l. Tar, ora artt. 119 e 120 cod. proc. amm., per la esigenza di interesse generale di una celere definizione di determinate tipologie di controversie), e pertanto l’applicazione del rito è doverosa ed oggettiva, e non vi è spazio per una scelta del rito, o sua disapplicazione, ad opera delle parti o del giudice.Le parti sono tenute a seguire il rito speciale, e il giudice a sua volta è tenuto alla sua osservanza.Se la parte non rispetta i termini del rito speciale incorre in un errore processuale che determina decadenza, salva la ricorrenza dell’errore scusabile.Parimenti, se il giudice di primo grado non rispetta il rito speciale, incorre in un errore che, se del caso, può dar luogo a vizio della sentenza contestabile con i rimedi impugnatori che l’ordinamento appresta.7.3. Nel processo amministrativo non possono trovare applicazione pedissequa i principi enunciati dalla Cassazione in tema di erronea scelta del rito da parte del giudice. Ritiene la Cassazione che se il giudice di primo grado tratti la causa secondo il rito erroneamente adottato e, non formulando alcun rilievo al riguardo, ritenga implicitamente che il rito in concreto seguito sia quello prescritto, il principio di ultrattività del rito e dell’apparenza comporta che il giudizio deve proseguire nelle stesse forme [Cass. civ., sez. II, 21 maggio 2010 n. 12524].Secondo la Cassazione rileva il rito adottato dal giudice che, a prescindere dalla sua esattezza, costituisce per la parte il criterio di riferimento, anche ai fini del computo dei termini previsti per le attività processuali; ne consegue che, ove una controversia in materia di lavoro sia erroneamente trattata fino alla conclusione con il rito ordinario, trova applicazione il principio dell’apparenza o dell’affidamento, per il quale la scelta fra i mezzi, i termini ed il regime di impugnazione astrattamente esperibili va compiuta in base al tipo di procedimento effettivamente svoltosi, a prescindere dalla congruenza delle relative forme rispetto alla materia controversa [Cass. civ., sez. lav., 23 aprile 2010 n. 9694].Tali principi non possono essere pedissequamente seguiti nel processo amministrativo nel quale i riti non rientrano nella disponibilità delle parti o del giudice, essendo imposti dalla legge per ragioni di interesse pubblico. Sicché, i termini di decadenza di un rito speciale, non possono essere superati dall’erronea scelta del rito.»
Sintesi: Nessuno dubita che il termine di proposizione del ricorso avverso gli atti amministrativi abbia natura decadenziale e che lo stesso quindi resti soggetto alla disciplina contenuta nell’art. 2964 del codice civile.
Estratto: «1.6. I principi sinora esposti inducono il Collegio, peraltro, a respingere le censure dell’appellante volte ad avversare il capo della impugnata decisione che ha affermato la tardività del mezzo di primo grado laddove diretto ad avversare il permesso di costruire del 19.2.2008 e l’autorizzazione paesaggistica del 18.6.2007.1.6.1.
[...omissis...]
Sintesi: Qualora il sessantesimo giorno dalla piena conoscenza del provvedimento sia un sabato, è tempestivo il ricorso notificato nel successivo primo giorno non festivo.
Estratto: «Passando all’esame del ricorso per motivi aggiunti, in via preliminare il collegio ritiene di verificarne d’ufficio la ricevibilità, non potendo in questa sede valere quanto eccepito dalla Amministrazione resistente, senza il ministero della Avvocatura dello Stato (che pure è costituita in giudizio), sotto il profilo della tardività dei motivi aggiunti. Il provvedimento, contestato con i motivi aggiunti, è stato tempestivamente impugnato. Esso è stato, infatti, notificato alla società ricorrente in data 8.3.2011 e avrebbe dovuto essere impugnato entro il 7.5.2011. Tuttavia la notifica dei motivi aggiunti, avvenuta il 9.5.2011, non può essere considerata tardiva; scadendo il termine per la notificazione il giorno di sabato, in forza dell’art. 52, comma 5, c.p.a., esso va prorogato di diritto al giorno non festivo successivo, ossia a lunedì 9.5.2011.»
Sintesi: Nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva, ove la controversia si riferisca a diritti patrimoniali che non dipendono dall'esercizio di una potestà autoritativa e discrezionale, ma ineriscono ad una situazione paritetica tra cittadino ed Amministrazione, concretantesi nella precisa determinazione di un credito patrimoniale che trova la sua base nella legge, il termine per adire il Giudice Amministrativo non è l'ordinario termine di decadenza, ma l'assai più ampio termine di prescrizione del diritto.
Estratto: «Preliminarmente, sull’eccezione di irricevibilità del ricorso sollevata da parte del Comune resistente, il Collegio osserva quanto segue.Secondo la ricostruzione della difesa comunale, il provvedimento impugnato sarebbe stato ricevuto dalla ricorrente in data 21.09.2006, mentre il ricorso sarebbe stato presentato per la notifica soltanto il 21.11.2006, ossia 61 giorni dopo l’avvenuta conoscenza dell’atto lesivo. Da ciò l’eccepita irricevibilità del gravame per tardività dello stesso, in quanto notificato dopo la maturazione del termine di 60 giorni stabilito a pena di decadenza.L’eccezione deve essere disattesa.L’azione promossa dalla ricorrente, a ben vedere, si presenta con i caratteri propri di una sostanziale pretesa di accertamento, volta a disconoscere l’obbligazione contributiva configurata a carico della stessa dalla competente autorità comunale. Detta contestazione, quindi, ha per oggetto la determinazione dell'an e del quantum dell'oblazione e del contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione per opere soggette a permesso di costruire in sanatoria, che si presenta come attività di natura paritetica, effettuata dalla p.a. in base a rigidi parametri, prefissati dalle leggi e dai regolamenti vertenti sui criteri impositivi e senza l’esplicazione di potestà autoritativa.In tali evenienze, com’è noto, deve essere affermata la devoluzione delle relative controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, proprio in quanto si tratta di controversie concernenti le rispettive posizioni di diritto soggettivo ed obbligo delle parti del rapporto giuridico in questione (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 13 ottobre 2010, n. 7466; Cons. St., sez. V, 22 novembre 1996, n. 1388).Al riguardo, si può solo accennare alla previsione di cui all’art. 16 della Legge 28 gennaio 1977 n. 10, non applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, trattandosi di norma abrogata dall’art. 136, II comma, lettera c) del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (con decorrenza dal 30 giugno 2003, come da proroga di cui all’art. 2 del d.l. n. 122/2002, convertito nella legge n. 185/2002, mentre l’odierno ricorso risulta notificato e depositato, rispettivamente, nel novembre e nel dicembre 2006 e, quindi, dopo l’avvenuta abrogazione). Ebbene detta norma, che prevedeva la devoluzione alla giurisdizione esclusiva dei TT.AA.RR. dei “ricorsi giurisdizionali contro il provvedimento con il quale la concessione viene data o negata nonché contro la determinazione e la liquidazione del contributo e delle sanzioni previste dagli artt. 15 e 18…”, è stata da tempo interpretata dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel senso che essa, affidando alla cognizione del Tribunale amministrativo regionale, non soltanto, i ricorsi contro il provvedimento che accorda o nega la concessione edilizia, ma anche, quelli che investono la determinazione e liquidazione del contributo a carico del beneficiario della concessione stessa, nonché l'irrogazione delle sanzioni, introduce un'ipotesi di giurisdizione esclusiva del predetto giudice amministrativo che, pure in materia di quantificazione del contributo, non può trovare deroghe in favore della giurisdizione del giudice ordinario (cfr. sentenza Cassazione n. 22904 del 14 novembre 2005).Ebbene, tale orientamento è stato recentemente ribadito dal Giudice del riparto il quale, dopo aver confermato che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti ed i comportamenti delle amministrazioni pubbliche in materia urbanistica ed edilizia, nella quale sono compresi la totalità degli aspetti dell'uso del territorio, inclusa, altresì, la materia relativa alla determinazione, liquidazione e riscossione degli oneri di urbanizzazione e relative sanzioni, ha precisato che la cognizione della controversia appartiene alla giurisdizione esclusiva di quest’ultimo anche quando attiene alla richiesta, mediante cartella esattoriale, di pagamento del contributo per gli oneri di urbanizzazione e conseguenti sanzioni (cfr. Cass. Civ., SS.UU., 20.10.2006 n. 22514, stavolta sulla base del preciso dettato normativo di cui all’articolo 34 del D.lgs. n. 80/1998, come confermato dall’articolo 7 della legge n. 205/2000, con gli adattamenti conseguenti alla sentenza 6 luglio 2004 n.204 della Corte Costituzionale, che, pur abrogato a decorrere dal 16.09.2010 a seguito dell’entrata in vigore del Codice del Processo amministrativo, risulta sostanzialmente riprodotto nell’art. 133, n. 1, lett. f) del d.lgs. n. 104/2010).In definitiva, quindi, la natura paritetica delle posizioni coinvolte nella fattispecie in contestazione e la previsione della giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo per “le controversie aventi ad oggetto gli atti ed i provvedimenti delle Pubbliche amministrazioni in materia urbanistica ed edilizia, concernente tutti gli aspetti dell’uso del territorio”, di cui all’art. 133 cit., giustificano l’attrazione dell’odierna fattispecie nell’ambito della giurisdizione esclusiva del T.A.R. (cfr., tra le altre, Consiglio di Stato, Sez. V, sent. n. 2258 del 21-04-2006, secondo cui: <<In tema di oneri di urbanizzazione, rientranti nella giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo ai sensi dell'art. 16 L. n. 10/1977, la pretesa del privato diretto alla esatta determinazione del contributo dovuto, si atteggia come diritto soggettivo, la cui azionabilità, in sede giurisdizionale, non è subordinata né alla impugnativa di un atto amministrativo formale, né all'osservanza del termine perentorio di decadenza, bensì di quello ordinario di prescrizione. Ed infatti, l'impugnativa riguardante strettamente, l'individuazione del quantum del contributo dovuto, nella sua componente commisurata alle spese di urbanizzazione, afferisce a questioni attinenti a diritti soggettivi, rientranti, appunto, nell'ambito della giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo; ed è principio assolutamente consolidato ed indiscusso che nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva, ove la controversia si riferisca a diritti patrimoniali che non dipendono dall'esercizio di una potestà autoritativa e discrezionale, ma ineriscono ad una situazione paritetica tra cittadino ed Amministrazione, concretantesi nella precisa determinazione di un credito patrimoniale che trova la sua base nella legge, il termine per adire il Giudice Amministrativo non è l'ordinario termine di decadenza, ma l'assai più ampio termine di prescrizione del diritto>>; analogamente, Sez. V, sent. n. 2543 del 29-04-2000; Sez. VI, sent. n. 960 del 19-07-1996; Sez. V, sent. n. 1317 del 16-12-1993, Sez. V, sent. n. 1145 del 31-10-1992; Sez. V, sent. n. 1235 del 21-10-1991; T.A.R. Puglia Bari, Sez. III, 11 settembre 2008, n. 2078).»
Sintesi: La tardività della impugnazione di una concessione edilizia o di un permesso di costruire deve essere sempre rapportata al concreto svolgersi della vicenda in relazione alla specifica violazione urbanistica che si assume commessa.
Estratto: «Il ricorso è manifestamente fondato, alla luce delle considerazioni che seguono.Va premesso che la domanda è pienamente ricevibile, con riferimento al momento in cui i ricorrenti hanno avuto cognizione della natura e lesività delle progettate opere...
[...omissis...]