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Il concetto di cittadinanza nasce con l’idea di Stato nazione, in
quanto la cittadinanza è nel contempo espressione e strumento di
definizione dell’identità nazionale perché essa, da un lato, è il
simbolo dei valori che esprime una nazione e, dall’altro lato,
individua chi fa parte del popolo di uno Stato. Negli Stati democratici
è al popolo che appartiene la sovranità, sicché diventare cittadini
significa divenire partecipi del potere di contribuire a determinare
decisioni rilevanti per l’intera comunità nazionale, in particolare
grazie all’attribuzione del diritto di elettorato (attivo e passivo).
Negli ultimi anni il complesso tema della cittadinanza è tornato
all’attenzione dei principali attori politici e sociali dei Paesi
europei perché se, da un lato, l’acquisto della cittadinanza del Paese
ospitante rappresenta il massimo fattore di integrazione dello
straniero, d’altra parte, con l’acquisizione della cittadinanza di uno
Stato membro della UE si acquisisce automaticamente anche la
cittadinanza dell’Unione europea.
Pertanto, le scelte dei legislatori nazionali in materia di
attribuzione della cittadinanza vengono ad avere notevoli ripercussioni
non solo sulla situazione dei singoli individui e dei singoli Stati, ma
anche per l’Unione nel suo complesso, con la possibilità che la loro
conformità ai principi dell’UE possa essere vagliata, sia pure
indirettamente, dalla Corte di Giustizia UE, come talvolta è accaduto.
Ne consegue che anche un settore così squisitamente nazionale come
quello della definizione delle regole di attribuzione della
cittadinanza si sta “aprendo all’Europa”.
Per tali motivi è divenuto più importante conoscere le regole che sono
proprie dei diversi Stati UE in questo settore.
L’opera analizza una per una le legislazioni in materia di cittadinanza
dei seguenti Paesi europei: Italia, Francia, Confederazione elvetica,
Germania, Irlanda, Regno Unito, Spagna, Paesi Bassi, Belgio, corredando
l’esame con la sintesi dei più rilevanti indirizzi giurisprudenziali,
specialmente con riguardo all’Italia.
Tutti gli Stati esaminati – tranne la Confederazione elvetica – fanno
parte della UE.
Inoltre, tutti gli Stati presi in considerazione – sempre con
l’eccezione della Confederazione elvetica, che pure fa parte del
Consiglio d’Europa – hanno sottoscritto la Convenzione di Strasburgo
del 6 maggio 1963 sulla riduzione dei casi di cittadinanza plurima e
sugli obblighi militari in caso di cittadinanza plurima.
Questa Convenzione è stata successivamente emendata da due protocolli,
nel 1977 e nel 1993, i quali hanno ampliato il diritto a tenere la
doppia cittadinanza
Peraltro, nel corso del tempo, tutti gli Stati presi in considerazione
nella presente opera hanno ritirato la propria adesione alla parte
della Convenzione, contenente la disciplina diretta a ridurre i casi di
doppia cittadinanza.
Da ciò si desume che, in ambito UE, si è passati da un iniziale rifiuto
ad un sostanziale “non impedimento” della doppia cittadinanza.
L’analisi delle diverse legislazioni viene effettuata prendendo le
mosse dalla complessiva cornice nella quale va inserito il fenomeno
migratorio in Europa e dalle modalità con le quali i diversi Stati
esaminati hanno valutato l’impatto prodotto dall’acquisto della
cittadinanza da parte di stranieri sulle condizioni socio-economiche e
sulla partecipazione politica degli immigrati.
Nell’opera si pone in evidenza come in Europa la principale modalità di
acquisto della cittadinanza sia quella per jus sanguinis (cioè da un
genitore cittadino), diversamente da quanto avviene in altri continenti.
È comunque prevista, nell’assoluta maggioranza degli Stati esaminati,
la possibilità di acquisto della cittadinanza per jus soli (secondo cui
si diventa cittadini per nascita nel territorio dello Stato
interessato). Tuttavia, le normative al riguardo sono molto differenti,
da Stato a Stato. Uno degli inconvenienti maggiori è rappresentato
dalla ampia discrezionalità che prevalentemente viene riconosciuta alla
Autorità amministrativa nella procedura ordinaria di naturalizzazione.
A tale problema spesso si aggiungono la notevole durata nel tempo della
procedura stessa e la previsione solo in una minoranza di Stati di un
controllo giurisdizionale , con l’attribuzione ai giudici anche del
potere di annullare un provvedimento amministrativo di rigetto e di
riconoscere il diritto di cittadinanza al ricorrente.
Peraltro, nella maggior parte degli Stati UE le normative sull’acquisto
della cittadinanza si basano sulla combinazione dei suddetti criteri,
cui a volte viene aggiunto, per la naturalizzazione, quello dello jus
domicilii, nel quale viene attribuito rilievo preminente all’anzianità
di residenza nello Stato interessato, variamente qualificata, cui si
associano altri requisiti.
Inoltre, nella maggioranza degli Stati, è prevista la possibilità di
attribuzione o acquisto della cittadinanza jure communicationis, ossia
la trasmissione dello status civitatis all´interno della famiglia da un
componente all´altro (matrimonio, riconoscimento o dichiarazione
giudiziale di filiazione, adozione), che normalmente si traduce nella
concessione della cittadinanza in modo automatico, in presenza di
determinati presupposti.
Nel dibattito parlamentare in corso in Italia per la riforma della
legge sulla cittadinanza al fine di ampliare le ipotesi di acquisto
della cittadinanza jure soli, è stato anche proposto di fare
riferimento, per la naturalizzazione, al criterio dello jus culturae.
In particolare, secondo la suddetta proposta, in base a questo nuovo
criterio, la cittadinanza si potrebbe ottenere: a) su richiesta dello
straniero nato in Italia, entro un anno dal compimento della maggiore
età; b) oppure se il soggetto è entrato in Italia entro il quinto anno
di età evi abbia sempre soggiornato legalmente; c) o ancora, su istanza
dei genitori dello straniero minorenne che abbia frequentato e concluso
in Italia, con esito positivo, un corso di istruzione primaria o
secondaria di primo grado oppure secondaria superiore.
Nelle notazioni finali si accenna alla situazione dei Paesi (di altri
continenti) nei quali si applica il c.d. jus soli integrale e ad alcune
degli inconvenienti che questo sistema può determinare, ad esempio,
negli USA.
Inoltre, si dà conto del riapertura del dibattito sul “contenuto” della
cittadinanza della UE in collegamento con quello della necessità di
garantire una tutela “effettiva” dei diritti fondamentali, con
corrispondente riduzione della sovranità degli Stati in materia di
determinazione dei requisiti per l’acquisto e la perdita della
cittadinanza nazionale.
Si rileva, inoltre, che data la centralità del tema della cittadinanza
al fine di offrire una adeguata protezione dei diritti (fondamentali)
degli extracomunitari e degli apolidi che vivono o vorrebbero vivere in
Europa, sarebbe auspicabile che, i Governi degli Stati UE riuscissero,
in tempi brevi, a fare chiarezza sulle cruciali questioni ancora aperte
che riguardano il CEAS - Common European Asylum System (Sistema Europeo
Comune di Asilo), con l’intento di rafforzare l’idea che per la UE è
basilare garantire la tutela dei diritti umani, in attuazione dei
principi della Carta europea dei diritti fondamentali e quindi di
dirigere il dibattito in materia di immigrazione sul piano
dell’integrazione, piuttosto che su quello securitario,
finora prevalente.
Questi risultati si potrebbero conseguire sia in sede del rinnovamento
del programma di Stoccolma, in materia di giustizia e affari interni
(che scade nel 2014, nel corso della presidenza italiana del Consiglio
UE) sia in sede di riflessione in materia dei principi di base del
CEAS che i Governi, in prossimità del “massacro” di Lampedusa del
3 ottobre 2013, si sono impegnati a fare a giugno 2014.